domenica 5 febbraio 2017

TESI DI LAUREA IN TECNOLOGIE FORESTALI E AMBIENTALI - Il quadro legale e istituzionale dei diritti di proprietà per la gestione delle risorse forestali in Veneto - di Mattia Rossato



                  TESI DI LAUREA IN TECNOLOGIE 
FORESTALI E AMBIENTALI
Il quadro legale e istituzionale dei diritti di proprietà per la gestione risorse forestali in Veneto

ANNO ACCADEMICO 2015 - 2016              Mattia Rossato

Con questa prima pubblicazione, inizia per il nostro blog un compito che speriamo, nel corso dei prossimi anni, di essere in grado di portare avanti, quello di pubblicare le tesi inerenti a tematiche e problematiche ambientali che possono essere di interesse generale. 
L'idea di raccogliere, leggere e pubblicare le tesi inerenti all'ambiente realizzate dai studenti laureandi di Spinea ci è nata dalla ormai consueta collaborazione con L'Associazione SUS  Studenti Università Spinea, che ha sede nello stesso corridoio del CDAT nella Casa delle Associazioni.

Nel corso di questi anni questa vicinanza ci ha portato ad avere scambi e relazioni tali da ricevere in cambio contributi, altri ne arriveranno nei prossimi mesi, come questo di Mattia Rossato, un giovane studente di Spinea che ha messo a disposizione il suo lavoro con lo spirito di contribuire ad allargare le nostre e le vostre conoscenze.

La decisione di pubblicare la sua Tesi, anche se l'argomento riguarda le foreste del Veneto conosciute dalla stragrande maggioranza di noi è coerente con lo scopo che ci siamo prefissi, perchè tratta osservazioni e determinazioni giuridiche che riguardano gli ambiti forestali ma che a nostro avviso possono essere riportate ed essere interessanti anche per il nostro territorio.

La Tesi di Mattia Rossato quindi prende spunto direttamente dalle teorie di Elinor Ostrom (*) che è considerata una delle studiose più importanti nell'ambito dei beni comuni. 
In particolare, il lavoro della Ostrom sottolinea come gli esseri umani e gli ecosistemi interagiscano per provvedere a raccolti sostenibili nel lungo tempo. Le foreste, le riserve di pesce, i terreni petroliferi, i pascoli e i sistemi di irragazione, fra gli altri, mostrano tutti delle caratteristiche di beni comuni, e il lavoro di Ostrom ha enfatizzato come gli umani abbiano creato diversi accordi istituzionali sopra le risorse naturali per migliaia di anni, che hanno permesso agli ecosistemi di non collassare. Allo stesso modo, Ostrom spiega anche come, nonostante i successi siano importanti, gli esseri umani siano responsabili anche di innumerevoli collassi. Nell'ultima parte della sua vita, il suo lavoro accademico sottolinea la complessità della natura dell'interazione fra umani ed ecosistemi, e mette in guardia contro ogni possibile "regola aurea" per risolvere problemi sistemici socio-ecologici.
La Ostrom ha identificato 8 principi per stabilire la corretta gestione di un bene comune:
  1. Confini chiaramente definiti (chiara definizione dei contenuti del bene comune ed effettiva esclusione di attori esterni che non hanno diritto a parteciparne);
  2. Regole che riguardano l’appropriazione e l'offerta delle risorse comuni che sono adattate al contesto locale;
  3. Modalità di scelta collettiva che permettono alla maggior parte dei membri di partecipare al processo decisionale;
  4. Monitoraggio effettivo da parte dei membri o da persone che ai membri devono rendere conto;
  5. Uno spettro di sanzioni progressive per chi viola le regole della comunità;
  6. Meccanismi di risoluzione dei conflitti che siano poco costose e di facile accesso;
  7. Autodeterminazione della comunità riconosciuta dalle autorità di alto livello;
  8. In caso di grandi beni comuni, l’organizzazione è nella forma di livelli multipli di imprese annidate, con beni comuni più piccoli al livello base.(*) tratto da Wikipedia
La tesi si sviluppa quindi entro questi filoni e ne analizza le determinanze e le specificità.


Particolarmente interessanti, perchè attuali i passaggi sulla Proprietà Privata,in Italia, dal punto di vista strettamente legale. Questo concetto è ben sviluppato nel capitolo 1.7 dove viene specificato che il diritto di proprietà rientra tra i diritti reali, ed è stato definito dall’Art. 842 del Codice Civile come “Il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.
La proprietà privata è riconosciuta dall’articolo 42 della Costituzione della Repubblica Italiana, che afferma di garantire la proprietà privata, ma chiarisce anche i limiti di questa quando vi è un interesse pubblico prevalente:
“La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.
Come previsto dall’articolo il proprietario di un bene ha il diritto, per legge, al godimento del bene stesso. La determinazione giuridica italiana della proprietà si collega perfettamente con quanto espresso dalla Ostrom nella sua definizione di proprietà, nella quale infatti vengono implicati sia diritti che doveri. Infatti, la Costituzione specifica che la proprietà privata deve sottostare a due obblighi fondamentali, ovvero:
1) Assicurarne una funzione sociale nell’interesse pubblico;
2) La possibilità di espropriazione del bene, per motivi di interesse generale.
L’Art. 44 inoltre specifica le condizioni inerenti alla proprietà fondiaria privata:

“Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostruzione delle unità produttive; aiuta la piccola e media proprietà.”

Questo dovrebbe far riflettere i più che guardandosi attorno ricordano di aver visto più volte, anche nella nostra città, o nel nostro territorio zone degradate e lasciate incolte, che non assolvono, nella fattispecie, questi presupposti, cioè quello della funzione sociale ma che continuano ad essere lasciate incolte e mai espropriate, nonostante la legge lo preveda.



INDICE DEGLI ARGOMENTI

Riassunto.......................................................................................................... pag. 4
Abstract............................................................................................................ pag. 5

Capitolo 1. Risorse naturali e diritti di proprietà
1.1 Introduzione ed obiettivi della tesi............................................................. pag. 7
1.2 Diritti di proprietà e regole......................................................................... pag.8
1.3 L’insieme dei diritti di proprietà................................................................. pag. 9
1.4 Diritti di proprietà e corrispondenti “profili” dei detentori ....................... pag.11
1.5 Diritti de jure e de facto............................................................................. pag. 12
1.6 Le risorse, i beni e i servizi forestali.......................................................... pag. 13


1.7 Definizione e situazione della proprietà forestale in Italia e nel Veneto.... pag. 14
Capitolo 2. Metodologia
2.1 Metodo d’indagine..................................................................................... pag. 19
2.2 Fonti dei dati.............................................................................................. pag. 19
2.3 Beni e servizi forestali analizzati e contesto dell’analisi............................ pag 21

Capitolo 3. Risultati e discussioni
3.1 Diritti di accesso......................................................................................... pag. 23
3.2 Diritti di prelievo........................................................................................ pag. 25
3.3 Diritti di gestione........................................................................................ pag. 31
3.4 Diritto di esclusione.................................................................................... pag. 40
3.5 Diritto di alienazione................................................................................... pag. 46

Capitolo 4. Conclusioni
Bibliografia...............................................................,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,...... pag. 56
Siti web.......................................................................,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,.... pag. 57

tabelle

Tabella 1. Estensione della superficie boscata in Italia e in Veneto rispetto all’estensione totale del territorio
Tabella 2. Ripartizione della superficie boscata di proprietà privata in Italia e in Veneto
Tabella 3. Ripartizione della superficie boscata di proprietà pubblica in Italia e in Veneto




Gli studi effettuati da Elinor Ostrom in merito ai diritti di proprietà per la gestione delle risorse naturali hanno modernizzato il concetto di “beni comuni”, enunciando nuovi tipi di diritti e regole.

Il diritto di proprietà in una risorsa territoriale viene scomposto in cinque diversi diritti di proprietà, così da concepirne in modo più adeguato e definito le possibilità dei diversi soggetti portatori d’interesse di usufruire delle risorse a disposizione. 

A questi vengono inoltre attribuite quantità e tipologie crescenti di diritti di proprietà per la gestione delle risorse, considerandoli in una scala progressiva nel cui punto estremo il proprietario della risorsa detiene tutti i diritti in questione.

La tesi si è posta l’obiettivo di analizzare in questa prospettiva il quadro legale e istituzionale del comparto forestale italiano e del Veneto, analizzando il rapporto tra i portatori d’interesse e i diritti di proprietà con riferimento al contesto della proprietà forestale privata.

I dati della tesi sono stati raccolti attraverso la consultazione di normative nazionali e regionali. In generale, i risultati mostrano che il contesto istituzionale del nostro paese, così come quello della regione, pone una forte regolamentazione dei diritti di proprietà sulle risorse forestali, attribuendo più diritti di controllo all’autorità forestale piuttosto che al proprietario, il quale appare più simile ad un “utente autorizzato” con poteri di alienazione.

È difficile quindi attribuire nel contesto italiano una definizione progressiva dei profili, così come definita da Ostrom. 

Il modello di Governance adottato dall’Italia rimane ancora un modello restrittivo nei confronti del proprietario forestale, poco propenso quindi ad incentivarlo a compiere miglioramenti nella gestione delle risorse.

Abstract
Studies by Ostrom on property rights for natural resource management have modernized the concept of “Common Pool Resources" by identifying new types of rights. The right to property in a territorial resource is seen as a bundle of right, consisting of five different rights. This view allows a more adequate and specific analysis of the different privileges, rights and duties of the different stakeholders involved in natural resources management and use. According to these studies, the title-holders are also attributed progressively increasing amounts of rights for the management of resources, according to a scale where, at the extreme end, is located the owner of the resource, who holds all the rights. Studying this context, the thesis has analyzed the situation of forest ownership arrangements in Italy and in the Veneto Region. Data have been collected by consulting national and regional laws. Italy, as well as the Veneto Region, defines a several regulation of the property rights on forestry resources, giving more control to the forestry authority rather than to the owner, who appears more similar to an “authorized user” with also the power of alienation. It is difficult to attribute to the Italian context a progressive definition of the profiles, as realized by Ostrom. The Governance model adopted by Italy still remains a restrictive model for the owner of the forest, who isn’t encouraged to make improvements in resources management.



Capitolo 1. Risorse naturali e diritti di proprietà

1.1 Introduzione ed obiettivi della tesi


La vita umana è indissolubilmente legata alle risorse naturali, che producono diversi beni e servizi ecosistemici necessari per i bisogni vitali dell’uomo (Giupponi et al., 2009). Quando la popolazione sulla terra era scarsa, le risorse naturali – minerarie, idriche, alieutiche, forestali – erano disponibili in quantità sufficiente per tutti e venivano utilizzate liberamente, senza particolari restrizioni. Con l’evolversi della società e lo sviluppo industriale, tuttavia, anche le risorse naturali acquisirono uno status di bene economico, utile e scarso. Iniziò pertanto un processo di appropriazione delle risorse e con esso una definizione dei diritti di proprietà sulle stesse, attuato attraverso un insieme di convenzioni, leggi, norme e consuetudini, che rappresenta oggi, anche se con diversi orientamenti a seconda del contesto socio-politico, storico ed economico delle diverse aree geografiche, uno dei fondamenti costituzionali di ogni Stato. Più recentemente, poiché alle risorse naturali sono sempre più state riconosciute caratteristiche di bene pubblico, spesso anche irriproducibile, i governi hanno promosso convenzioni ed altri strumenti per regolamentare l’utilizzo delle risorse anche a livello internazionale e promuoverne una conservazione e gestione sostenibile.
L’Institutional Economics è la branca delle discipline economiche che studia i diritti di proprietà sui beni e servizi, visti come “un riconoscimento, da parte della collettività, a godere del diritto al bene al flusso di servizi che esso produce” (Bromley, 1991), ma anche come uno strumento che definisce sia “diritti e privilegi” che “limiti nell’utilizzo delle risorse” (Tietenberg e Lewis, 2009). In altre parole, ogni struttura esistente di allocazione di diritti di proprietà comporta un impegno da parte di un’autorità socialmente riconosciuta che garantisca il rispetto di tali strutture; tuttavia, il detentore dei diritti di proprietà non ha solo diritti, ma anche doveri, particolarmente quelli di astenersi da usi socialmente indesiderati (ad esempio distruttivi) della risorsa stessa. In questa prospettiva, i diritti di proprietà sono anche uno strumento di controllo, regolamentazione e gestione.
Un aspetto importante che emerge dalle analisi degli istituzionalisti è che i diritti di proprietà sulle risorse naturali sono estremamente complessi, perché esse hanno funzioni ed usi multipli (Scott, 2008). Pertanto, tali diritti non sono, come si potrebbe pensare, un attributo monolitico, dicotomico che si possiede o non si possiede in modo esclusivo, quanto piuttosto un insieme variegato di diritti diversi, tutti coesistenti per la stessa risorsa, che possono essere anche attribuiti a soggetti diversi, legati, in diverso modo e a diverso titolo, alle risorse. L’esistenza di molti ‘aventi diritto’ sarebbe il risultato di un pluralismo del diritto (Meinzen-Dick et al., 2004) in cui le diverse autorità con competenza sulle risorse naturali – le istituzioni internazionali, lo Stato, le regioni, gli Enti locali –agiscono contemporaneamente, sovrapponendosi nel definire privilegi e limiti delle persone nell’utilizzo delle risorse, fino a spingersi ad attribuirsi, nell’ottica di un interesse pubblico prevalente, alcuni di tali diritti (ad esempio le decisioni di pianificazione territoriale ed urbanistica che definiscono gli usi autorizzati del suolo).
Questa visione di diritti di proprietà multipli, frammentati e coesistenti ben si presta ad analizzare le risorse forestali ed il loro utilizzo da parte di un insieme complesso di soggetti – i cosiddetti portatori d’interesse – che oggi a diverso titolo rivendicano diritti d’uso e di presa di decisione sulle risorse.
La presente tesi affronta questo ambito e si propone di analizzare chi detiene i diversi diritti di proprietà sulle risorse forestali, come essi si caratterizzano e si distribuiscono tra diversi soggetti. Come area geografica di riferimento, lo studio si rivolge al territorio italiano, in particolar modo al contesto legale ed istituzionale della regione Veneto, dato che la maggior parte delle competenze forestali sono oggi delegate alle regioni.
Il lavoro si articola in diverse parti. Nel presente capitolo verranno descritti i cinque diritti di proprietà e i profili dei detentori in base a quanto proposto da Ostrom e Schlager (1992); verrà poi brevemente presentata la differenza tra diritti de jure e diritti de facto; verranno quindi analizzati i beni e servizi apportati dalle risorse forestali, accompagnata da un quadro sintetico della struttura della proprietà forestale in Italia e nella regione Veneto. Nel capitolo 2 verranno presentati il metodo d’indagine e le fonti dei dati, cioè le norme statali e regionali utilizzate per definire i diversi diritti di proprietà. Nel capitolo 3 verranno presentati e discussi i risultati, mentre nel capitolo 4 si trarranno infine le conclusioni in merito al ‘grado di liberalizzazione’ dei diritti di proprietà sulle risorse forestali ed in generale al modello di Governance adottato nella gestione delle risorse forestali in Italia.

1.2 Diritti di proprietà e regole
In molte circostanze, l’uso delle risorse naturali si caratterizza per rivalità elevata e difficile esclusione, caratteristiche che definiscono i beni comuni, o Common Pool Resources (CPR). Nel dibattito circa l’uso e la gestione delle CPR, significativo è stato il contributo provocatorio di Garret Hardin, l’ecologo che pubblicò, nel 1968, il famoso The Tragedy of the Commons. In riferimento all’esempio di un pascolo, risorsa ‘aperta’ in cui ciascun pastore può far pascolare liberamente i propri animali agendo con l’unico obiettivo di massimizzare il proprio interesse senza alcuna considerazione delle conseguenze sugli altri pastori o sullo stato della conservazione del pascolo, questo autore teorizzò che l’utilizzo non regolato delle risorse naturali avrebbe portato inevitabilmente al loro sovrasfruttamento e distruzione. Hardin, ispirato da una visione fortemente distopica riguardo al progresso umano, suggerì come uniche due soluzioni alla ‘tragedia dei beni comuni’ la statalizzazione o la privatizzazione. In seguito, non solo Hardin venne smentito dai fatti, ma molti dimostrarono che i suoi presupposti teorici erano errati. Importante riferimento della critica al lavoro di Hardin è stata la studiosa Elinor Ostrom, che nel 2009 ha ricevuto, per il suo lavoro, il premio Nobel per l’economia. Tra molti altri aspetti, Ostrom evidenziò, ad esempio, che ciò che Hardin chiamava ‘beni comuni’ erano in realtà beni ‘a libero accesso’: mentre in questi ultimi non vi è nessun controllo sull’accesso e sull’uso, i beni comuni sono “spazi e risorse ben definite auto-gestite da un gruppo limitato di persone, sulla base di precise regole o istituzioni derivanti dal diritto consuetudinario” (Ricoveri, 2013).
Ostrom e colleghi hanno contribuito in modo significativo a sviluppare la teoria dei diritti di proprietà, che vengono intesi proprio come “regole o istituzioni” di auto-governo delle comunità: infatti, nel loro lavoro del 1992 Property-Rights Regimes and Natural Resources: A Conceptual Analysis, Schlager e Ostrom mettono in evidenza come, in riferimento alle risorse naturali, i concetti di diritti e regole siano intimamente connessi. I diritti si riferiscono a particolari azioni che vengono autorizzate. Un diritto di proprietà è quindi l’autorità di intraprendere azioni particolari, relative a un dominio specifico. Per ogni diritto che un individuo detiene esistono norme che autorizzano o richiedono particolari azioni nell’esercizio di tale diritto di proprietà. Le regole si riferiscono alle prescrizioni che creano autorizzazioni: se un individuo è in possesso di un diritto, ciò implica che un altro individuo ha un corrispondente dovere da rispettare vincolato da tale diritto. Quindi i diritti sono il prodotto di regole ma non sono equivalenti alle regole, che invece specificano sia diritti che doveri.
Su questi aspetti concorda anche Bromley (1991), quando definisce i regimi di proprietà. In ogni regime di proprietà – pubblica, privata, collettiva (bene club, bene comune) – ad esclusione del libero accesso, vi è sempre una parte di individui che ha dei diritti ed una rispettiva controparte che ha il dovere di rispettare tali diritti. Lo Stato e le istituzioni hanno il potere di costringere gli individui a rispettare i diritti di proprietà altrui. È chiaro quindi che lo Stato e le altre istituzioni pubbliche hanno un ruolo preminente nel definire i diritti di proprietà e garantirne il rispetto da parte dei cittadini.

1.3 L’insieme dei diritti di proprietà
Il lavoro di Schlager e Ostrom (1992) affronta anche in modo approfondito l’aspetto di come l’attribuzione dei diritti di proprietà possa fortemente influenzare l’uso e la conservazione delle risorse naturali. Le autrici propongono una nuova concettualizzazione del diritto di proprietà, frazionandolo in cinque diversi diritti parziali e sovrapposti. Questi individuano altrettante figure, tutte coesistenti nell’uso e nel controllo delle risorse naturali, con diversi titoli di proprietà, dall’uso alla disponibilità piena e completa del bene, compresa la possibilità di cederlo a terzi. Grazie a questi studi, è possibile oggi rileggere in maniera originale le diverse norme, leggi e prescrizioni emanati per regolare l’uso delle risorse forestali in un certo territorio.
Schlager e Ostrom (1992) distinguono tra “diritti d’uso” e “diritti di controllo”. Dei primi fanno parte i diritti di accesso e di raccolta/prelievo, definiti come:
  1. Accesso: il diritto di ‘entrare’ in una risorsa (un terreno boscato). Chi è in possesso di questo diritto può accedere al bosco ed esercitarvi degli usi che non esauriscono il bene nell’atto di consumo, come ad esempio compiervi una passeggiata;
  2. Raccolta/prelievo: è il diritto di raccogliere ed estrarre/utilizzare i ’prodotti‘ di una risorsa. Esempi di questo diritto in ambito forestale sono la raccolta del legname e dei prodotti forestali non legnosi.
La seconda categoria, cioè quella dei diritti di controllo, è più complessa. Riguarda sostanzialmente i diritti che i singoli possono avere nel partecipare ad azioni di scelta collettiva, cioè di presa di decisioni. La differenza tra diritti d’uso e diritti di decisione è cruciale, perché rappresenta la differenza tra il semplice esercizio presente di un diritto e la possibilità di partecipare alla definizione dei diritti che potranno venire esercitati in futuro. L’autorità di concepire futuri diritti è ciò che rende così forti i diritti di scelta collettiva. collettiva Tali diritti includono la gestione, l’esclusione e l’alienazione. Essi sono definiti come:
  1. Gestione: il diritto di regolamentare l’uso della risorsa e di trasformarla e/o migliorarla. Il diritto di gestione autorizza i suoi titolari ad elaborare a livello operativo i diritti che disciplinano l’uso di una risorsa. Gli individui che detengono i diritti di gestione hanno il potere di determinare come, quando e dove l’uso di una risorsa possa essere cambiata. In ambito forestale il diritto di gestione consente al detentore di applicare modifiche all’uso del suolo, alla forma di coltura e alle specie, prevedendo per esempio la conversione da ceduo a ceduo composto o da ceduo a fustaia.
  2. Esclusione: il diritto di determinare chi avrà diritto di accedere alla risorsa e in che modo questo diritto possa essere trasferito. Il diritto di esclusione autorizza i suoi titolari ad elaborare i diritti di accesso a livello operativo. Chi detiene i diritti di esclusione ha il potere di definire i requisiti che gli individui devono soddisfare al fine di accedere ad una risorsa. Pensando al notevole valore ricreativo delle risorse forestali, anche questo diritto può essere particolarmente significativo in questo ambito.
  3. Alienazione: il diritto di vendere o di trasferire, o entrambi, i diritti di scelta collettiva sopracitati. Il diritto di alienazione permette al suo possessore di trasferire tutti o parte dei diritti di scelta collettiva ad altro individuo o altro gruppo. Esercitare tale diritto significa che un individuo cede, temporaneamente o definitivamente, i diritti di gestione, di esclusione o entrambi. Avendo alienato tali diritti, l’ex titolare dei diritti non può più esercitare tali poteri in relazione a una risorsa o una parte di essa. In ambito forestale chi è in possesso di questo diritto      può decidere per esempio se vendere la sua proprietà.

Nel 2007, Ostrom e Hess (2007), sottolineando come il progresso tecnologico contribuisca ad una frammentazione sempre maggiore dei diritti, hanno proposto due diritti aggiuntivi:
  • Contributo: è un diritto d’uso che dà la facoltà di contribuire a modificare il contenuto della risorsa. Chi detiene questo diritto, pur non avendo reali diritti di gestione, può intervenire in modo molto limitato a cambiare la fisionomia della risorsa: nel caso del bosco, questo può significare, ad esempio, piantare un arbusto.
  • Rimozione: il diritto di rimuovere i propri manufatti dalla risorsa. Anche questo è definito come un diritto d’uso, ed è in stretta correlazione con il diritto di raccolta/prelievo, dato che garantisce all’individuo che esercita la raccolta di poter tornare nuovamente sul posto a raccogliere gli strumenti che ha utilizzato. In ambito forestale, poiché la raccolta di legname o di prodotti forestali non legnosi può necessitare l’uso di strumenti, quali motosega o sacchi, se l’individuo non può portare con sé in un solo viaggio tutti gli oggetti e i prodotti che intende utilizzare, gli viene consentito di tornare indietro a riprendersi quanto è rimasto in bosco.
Pur interessanti, questi due ultimi diritti sono di minore portata e forse poco pertinenti al contesto geografico oggetto della tesi, per cui non verranno presi in considerazione nella trattazione che segue.

1.4 Diritti di proprietà e corrispondenti “profili” dei detentori
Dopo aver configurato i vari diritti, Ostrom e Schlager (1992) attribuiscono ai detentori di tali diritti degli specifici “profili”, in funzione della quantità crescente e progressiva dei diritti posseduti:
  • Gli Utenti Autorizzati (Authorized Users) detengono i diritti di d’uso, cioè accesso e raccolta/prelievo. Se previsto, tali diritti possono essere temporaneamente (ad esempio con l’usufrutto) o permanentemente trasferiti ad altri. Tuttavia, il trasferimento non riguarda diritti di gestione o di esclusione, poiché i diritti degli utenti autorizzati vengono definiti da altri, cioè da chi detiene i diritti di scelta collettiva. Gli utenti autorizzati non hanno quindi il potere di lasciare in eredità i loro diritti di raccolta o di escludere altri dall’ottenere gli stessi diritti (ad esempio l’accesso a zone di pesca o il diritto di raccogliere legna morta dal bosco), né di partecipare alle decisioni collettive per modificare le regole.
  • Gestori (Claimants), che, oltre a possedere gli stessi diritti degli utenti autorizzati, posseggono anche il diritto di gestione: hanno quindi l’autorità di definire i diritti d’uso, ma non possono decidere chi può o non può accedere alle risorse, né possono ‘alienare’ il loro diritto di gestione.
  • I Titolari (Proprietors) possiedono l’ulteriore diritto di esclusione, cioè di definire sia come le risorse possono venire utilizzate, sia il profilo degli utenti che possono accedervi; non possono però alienare nessun diritto.
  • I Proprietari (Owners) detengono tutti i diritti, compreso il diritto di alienazione, grazie al quale possono vendere o trasferire temporaneamente tutti i loro diritti, compresi quelli di scelta collettiva. In questa progressione di diritti di proprietà posseduti, solo i “proprietari” posseggono pieno controllo e disponibilità della risorsa e si identificano con il significato comune attribuito al termine “proprietario”.

1.5 Diritti de jure e de facto
Schlager e Ostrom (1992) evidenziano un altro aspetto importante riguardante i diritti di proprietà, ovvero la distinzione tra diritti de jure e diritti de facto. I primi sono acquisiti tramite strumenti giuridici, che forniscono al detentore un riconoscimento legale, formale. I secondi non si originano da atti legali, ma da comportamenti consuetudinari, informali, da parte dagli utenti delle risorse. Questi agiscono come se avessero diritti de jure anche se formalmente non li posseggono. In alcune circostanze, i diritti de facto vengono ad un certo momento riconosciuti anche legalmente, ma finché questo non avviene sono meno sicuri dei diritti de jure.
In alcune situazioni o per una certa risorsa, i diritti de jure e de facto possono coesistere, sovrapporsi, completarsi o addirittura avere relazioni conflittuali e competitive l’uno con l’altro. Meinzen-Dick, et al. (2004) attribuiscono la coesistenza di diritti de jure e de facto al cosiddetto “pluralismo del diritto”, spiegabile con le molte fonti diversificate del diritto:
  • Leggi e trattati internazionali;
  • Leggi statali;
  • Disposizioni di enti decentrati e autorità locali;
  • Leggi e pratiche religiose;
  • Consuetudini e usanze locali informali e non scritte;
  • Progetti e pianificazioni locali;
  • Regole locali definite, stabilite dai gruppi degli utilizzatori.
La coesistenza di queste leggi non significa ovviamente che tutte abbiano lo stesso potere regolamentare o coercitivo: ciascuna ha un potere che dipende dall’istituzione che l’ha emanata. La legge dello Stato è sovrana e viene utilizzata, per esempio, per conservare le foreste di proprietà dello Stato o quelle su cui sono stati posti vincoli di interesse collettivo (vincolo idrogeologico, aree Natura 2000). Dall’altra parte, azioni delle comunità locali come petizioni, manifestazioni e blocchi stradali, sono modi di reclamare il riconoscimento di diritti locali che si ritengono acquisiti de facto.

1.6 Le risorse, i beni e i servizi forestali
Le risorse forestali sono fonte di molti beni e servizi ecosistemici utili all’umanità (Giupponi et al., 2009), che, ai fini del presente lavoro, possono essere ripartiti in sei tipologie:
1.     Prodotti legnosi: il più importante prodotto proveniente dalla foresta è senza dubbio il legname. I prodotti forestali hanno diversi usi a livello industriale: segati, travature, paste ad uso cartario, pannelli, paleria, fibre tessili, segatura, lana di legno, carbone vegetale attivato, legna da ardere, etc.....
2.     Prodotti forestali non legnosi: rappresentano un’altra risorsa materiale fornita dalla foresta, spesso non secondaria come importanza economica, anche se spesso parte di filiere e mercati locali o utilizzata per autoconsumo. La FAO (2014) definisce i prodotti forestali non legnosi (in linguaggio internazionale Non Wood Forest Products, abbr. NWFP) come “beni di origine biologica diversi dal legno che derivano dalle foreste, da altri terreni boscati e dagli alberi nel fuori foresta”. I NWFP sono quindi beni che vengono prodotti spontaneamente dalla foresta e dall’ambiente circostante, da sempre raccolti e utilizzati dall’uomo. Soprattutto nel passato, ma ancora oggi nei paesi poveri e nelle aree rurali, i prodotti forestali non legnosi contribuiscono al fabbisogno alimentare delle famiglie. Inoltre, la varietà di NWFP nei diversi luoghi del mondo è motivo di identità locale, e per alcuni paesi i NWFP costituiscono un importante bene di origine forestale oggetto di esportazione.
3.     Attività venatoria: la foresta è l’habitat di diversi mammiferi e uccelli di interesse venatorio, cacciati sia per scopi alimentari che ricreativi. Anche questo quindi è un servizio di importanza rilevante fornito dal territorio forestale.
4.     Ricreazione: le foreste italiane rivestono una grande importanza ricreativa: la Regione Veneto (Dipartimento turismo – Sezione sistema statistico regionale) ha segnalato che nel 2015 ben 1,6 milioni di turisti, italiani e stranieri, hanno scelto di visitare i Parchi Naturali della regione. Negli anni inoltre sono aumentate anche le tipologie di attività ricreative che vengono svolte in foresta e i relativi servizi: oltre agli impianti invernali per i diversi sport che si svolgono in ambiente montano e forestale (sci, snowboard, slittino, etc.…), negli ultimi anni si sono notevolmente sviluppati anche i servizi per la stagione estiva (parchi avventura, musei e concerti, camping, centri per l’educazione ambientale, bird watching, etc....); infine è opportuno ricordare la notevole quantità di escursioni compiute nel territorio forestale, aspetto che continua ad essere uno dei servizi ricreativi più importanti legati alla presenza del bosco e che richiede, per essere esercitato, almeno il diritto di accesso.
5.     Acqua: l’acqua è un bene di grande importanza per la vita umana, la cui disponibilità e qualità è legata alla presenza di ecosistemi naturali, e forestali in particolare. L’acqua presente nei fiumi nel nostro territorio proviene infatti dai bacini montani, i quali svolgono anche un’importante funzione di monitoraggio, controllo e prevenzione dai rischi di erosione, caduta massi e frane. La disponibilità idrica infine è anche legata alla produzione di energia idroelettrica.
6.     Stock di Carbonio: infine, un altro servizio essenziale fornito dalla foresta è quello di fungere da serbatoio di carbono, fissato dalla biomassa forestale ed immagazzinato anche nel suolo. In relazione alla sua capacità di sottrarre gas serra dall’atmosfera, questo servizio del bosco ha assunto negli ultimi decenni una grande importanza. Poiché si tratta di un prodotto forestale nuovo, gli aspetti relativi ai diritti di proprietà in questo caso non sono stati affatto affrontati e completamente risolti in molte situazioni.

1.7 Definizione e situazione della proprietà forestale in Italia e nel Veneto
Ricordando quanto definito da Bromley (1991) sul ruolo dello Stato nello stabilire i diritti e gli obblighi dei cittadini che ne fanno parte, è doveroso, prima di affrontare nello specifico la regolamentazione italiana e regionale inerente al settore forestale, puntualizzare quanto è previsto in Italia in merito ai diritti di proprietà, e più nello specifico della proprietà forestale.
In Italia, dal punto di vista strettamente legale, il diritto di proprietà rientra tra i diritti reali, ed è stato definito dall’Art. 842 del Codice Civile come “Il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.
La proprietà privata è riconosciuta dall’articolo 42 della Costituzione della Repubblica Italiana, che afferma di garantire la proprietà privata, ma chiarisce anche i limiti di questa quando vi è un interesse pubblico prevalente:
“La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.
Come previsto dall’articolo il proprietario di un bene ha il diritto, per legge, al godimento del bene stesso. La determinazione giuridica italiana della proprietà si collega perfettamente con quanto espresso dalla Ostrom nella sua definizione di proprietà, nella quale infatti vengono implicati sia diritti che doveri. Infatti, la Costituzione specifica che la proprietà privata deve sottostare a due obblighi fondamentali, ovvero:
1) Assicurarne una funzione sociale nell’interesse pubblico;
2) La possibilità di espropriazione del bene, per motivi di interesse generale.
L’Art. 44 inoltre specifica le condizioni inerenti alla proprietà fondiaria privata:
“Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostruzione delle unità produttive; aiuta la piccola e media proprietà.”
In quest’articolo vengono messi in luce più nel dettaglio i compiti che deve affrontare un proprietario fondiario nel proprio fondo, al fine di uno sfruttamento razionale e di stabilire equi rapporti sociali.
La consultazione del Codice Civile porta a ritrovare ulteriori disposizioni specifiche riguardanti la proprietà forestale. L'art. 826 (Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni) infatti recita:
“Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere […]”
Come appare, c'è un primo chiaro riferimento ad uno dei soggetti titolari della proprietà forestale, lo Stato.
Nell'art. 823 (Condizione giuridica del demanio pubblico) del Codice Civile vengono espresse le condizioni che spettano ai beni demaniali, più precisamente viene definito il ruolo del demanio e del patrimonio indisponibile:
“I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. [...]”
Nell'articolo 826 è specificato inoltre che le foreste costituenti il demanio forestale dello Stato fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato, e quindi ne assumono le caratteristiche.
Nell'articolo 828 (Condizione giuridica dei beni patrimoniali) è scritto:
“I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice.
I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.”
Quindi, lo Stato ha pieno diritto e responsabilità anche sui beni forestali costituenti il “demanio forestale dello Stato”. Secondo il Codice, inoltre, non è possibile la compravendita, né l'uso di tali beni, né altri diritti, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Sia per i beni che fanno parte del “demanio pubblico” dello Stato che per quelli che invece costituiscono il “patrimonio indisponibile” dello Stato vige l’impossibilità da parte di questo di avvalersi del diritto di alienazione; la differenza tra i due sta che i beni appartenenti al “patrimonio indisponibile” dello Stato possono essere soggetti a diritti reali di godimento a favore di terzi, ovvero possono essere altresì utilizzati dal cittadino in modo pieno e immediato.
Nell'articolo 829 (Passaggio dei beni dal demanio al patrimonio), viene espressa quindi la possibilità di far passare i beni demaniali, tra cui anche il demanio forestale dello Stato, dal demanio al patrimonio:
“Il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa. Dell’atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
Per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio dev’essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali.”
La conoscenza delle leggi stabilite dal Codice Civile Italiano è utile per conoscere i vincoli a cui si è sottoposti quando si ha a che fare con i beni territoriali appartenenti allo Stato stesso. Si nota come ci sia una forte restrizione delle possibilità di utilizzo delle risorse in un bene appartenente al patrimonio dello Stato.
È il caso inoltre di ricordare il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, nel quale vengono espresse le condizioni di tutela da parte dello Stato dei beni paesaggistici secondo quanto indicato dal regolamento. Tuttavia, data la complessità del decreto è difficile fornire nella tesi tutte le indicazioni specifiche per quanto riguarda l’obbligo del proprietario di effettuare interventi di tutela del bosco privato. La ricerca si limiterà a fornire indicazioni sull’utilizzo della proprietà privata e delle risorse boschive ad opera del proprietario, ai limiti della sua competenza nel proprio territorio.
È opportuno, infine citare, ai fini di una maggiore comprensione a livello giuridico dei termini inerenti al contesto forestale, l’Art. 1 del Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 227 - Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57, in cui è scritto:
“Agli effetti del presente decreto legislativo e di ogni altra normativa in vigore nel territorio della Repubblica i termini bosco, foresta e selva sono equiparati.”

Per completare il quadro conoscitivo della situazione della proprietà forestale, si riportano i dati di estensione della superficie boscata in Italia e in Veneto, secondo l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio (www.sian.it), distinguendo tra boschi di proprietà pubblica e privata e specificando con maggiore dettaglio la ripartizione tra le diverse forme di proprietà pubblica e privata.

Tabella 1. Estensione della superficie boscata in Italia e in Veneto rispetto all’estensione totale del territorio
Area
Superficie totale
Superficie boscata totale
Bosco di proprietà privata
Bosco di proprietà pubblica
Italia
% della superficie totale
30.133.800 ha
8.759.200 ha
29, 1 %
5.797.715 ha
19,2 %
2.931.688 ha
9,7 %
Veneto
% della superficie totale
1.826.400 ha
397.889 ha
21, 8 %
267.590 ha
14,7 %
129.960 ha
7,1 %
Fonte: sian.it/inventarioforestale aggiornato al 04/05/2014

Come si può notare circa 1/3 della superficie politica italiana e circa 1/5 di quella del Veneto è ricoperta da boschi; inoltre i dati mostrano in modo chiaro che il regime di proprietà prevalente è quello della proprietà privata, circa 2/3 rispetto alla proprietà di tipo pubblico. È importante soffermarsi su queste indicazioni poiché gran parte della gestione delle risorse forestali avviene in un bene giudicato come privato, quindi lo Stato non ne detiene un controllo completo ed esclusivo.

  
Tabella 2. Ripartizione della superficie boscata di proprietà privata in Italia e in Veneto
Area
Proprietà privata individuale
Proprietà privata di società, imprese, industrie
Altri enti privati
Proprietà privata di tipo non noto o
non definito
Italia
% della superficie totale
4.583.893 ha
79,1 %
358.705 ha
6,2 %
258.792 ha
4,5 %
596.325 ha
10,3 %
Veneto
% della superficie totale
223.095 ha
83,4 %
4.078 ha
1,5 %
31.856 ha
11,9 %
8.560 ha
6,6 %
Fonte: sian.it/inventarioforestale aggiornato al 04/05/2014

Viene qui riportato il livello di ripartizione della superficie forestale di proprietà privata. Dai dati si nota che la maggior parte della proprietà privata, sia a livello italiano che del Veneto, è di tipo individuale; questo indica che i beneficiari della foresta sono in realtà soggetti singoli, il cui uso delle risorse forestali può rispondere a obiettivi molto diversificati.

Tabella 3. Ripartizione della superficie boscata di proprietà pubblica in Italia e in Veneto
Area
Proprietà statale o regionale
Proprietà comunale o provinciale
Altri enti pubblici
Proprietà pubblica di tipo non noto o non definito
Italia
% della superficie totale
695.153 ha
23,7 %
1.920.967 ha
65,5 %
244.231 ha
8,3 %
71.336 ha
2,4 %
Veneto
% della superficie totale
28.577 ha
22,0 %
97.648 ha
75,1 %
3.735 ha
2,9 %
0 ha
0,0 %
Fonte: sian.it/inventarioforestale aggiornato al 04/05/2014

In questa tabella è riportata la ripartizione della superficie boscata di proprietà pubblica; si osserva che la proprietà forestale di tipo pubblico è suddivisa in due categorie prevalenti: la proprietà statale o regionale e la proprietà comunale o provinciale. In entrambi i livelli, il controllo effettuato per tutelare le risorse forestali è emanato esclusivamente dall’alto, attraverso quindi diritti de jure che si esprimono con leggi e normative. Questo tipo di controllo è importante ai fini di garantire un corretto utilizzo delle risorse da parte dei cittadini, salvaguardando così il territorio forestale da usi impropri e non regolamentati, e portando inoltre a possibili miglioramenti del sistema.






Capitolo 2. Metodologia

2.1 Metodo d’indagine
L’analisi dei diritti di proprietà relativi ai diversi beni e servizi prodotti dalle risorse forestali viene svolta considerando ciascun diritto di proprietà presente nell’insieme dei diritti di proprietà proposto da Schlager e Ostrom (1992): Accesso, Prelievo/Raccolta, Gestione, Esclusione e Alienazione.
Ogni diritto considerato viene analizzato con maggiore dettaglio in relazione a diversi aspetti, risorse ed individui coinvolti.
Per ogni aspetto sono state analizzate le relative norme, regole e regolamenti che definiscono i titolari ed i diritti e i doveri che essi hanno nei riguardi delle risorse forestali.
I risultati ottenuti tramite l’analisi normativa sono stati poi verificati tramite alcuni incontri con esperti della materia: due docenti del Corso di Laurea in Tecnologie Forestali ed Ambientali e un funzionario della Sezione di Difesa Idrogeologica e Forestale della Regione Veneto (nuova denominazione dei Servizi Forestali Regionali).
Dato che le competenze in ambito forestale spettano oggi quasi esclusivamente alle regioni, l’analisi è stata svolta a livello regionale, scegliendo la regione Veneto come caso studio. A seconda dei casi, sono state prese in considerazione leggi e provvedimenti a livello statale o a livello regionale.

2.2 Fonti dei dati
Le principali normative consultate sono state: 
Normative Europee
1-     Regolamento (UE) n. 995/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legno e prodotti da esso derivati 
Normative dello Stato Italiano
1-    Regio decreto legislativo 30 dicembre 1923, n. 3267 – Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani
2-    Codice Penale Italiano del 26 ottobre 1930
3-    Codice Civile Italiano del 1942
4-    Legge 26 maggio 1965, n, 590 – Disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice
5-    Legge 14 agosto 1971, n. 817 – Disposizioni per il rifinanziamento delle provvidenze per lo sviluppo della proprietà coltivatrice
6-    Decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 – Attuazione della delega di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975 n. 382
7-    Legge 11 febbraio 1992, n. 157 - Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio
8-    Legge 23 agosto 1993, n. 352 - Norme quadro in materia di raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati
9-    Legge 21 novembre 2000, n. 353 – Legge-quadro in materia di incendi boschivi
10- Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 227 - Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57
11- Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 
Normative della Regione Veneto
1-    Legge Regionale 13 settembre 1978, n. 52 – Legge forestale regionale
2-    Prescrizioni di Massima e Polizia forestale (provvedimento del Consiglio Regionale del 21 aprile 1980, n. 1066 e Deliberazione del Consiglio regionale del 23 ottobre 2003, n. 51)
3-    Legge Regionale 15 gennaio 1985, n. 8 – Riorganizzazione delle funzioni forestali
4-    Legge regionale 31 marzo 1992, n. 14 – Disciplina della viabilità silvo-pastorale
5-    Deliberazione della Giunta Regionale 30 dicembre 1997, n. 4808 – Norme tecniche in materia forestale. Disposizioni esecutive di attuazione della L. R. 27 giugno 1997, n. 25
6-    Deliberazione della Giunta Regionale 23 luglio 2013, n. 1319 – Disposizioni attuative dell’articolo 31 della L.R. 5 aprile 2013, N. 3
7-    Legge Regionale 19 agosto 1996, n. 23 – Disciplina della raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati
8-    Legge Regionale 31 gennaio 2012, n. 7 – Modifiche e integrazioni alla legge regionale 19 agosto 1996, n. 23 "Disciplina della raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati
9-    Allegato n.1 alla D.G. n. 13 dell'8 maggio 2014 – Disciplina raccolta funghi

I testi sono stati reperiti attraverso consultazioni bibliografiche e ricerche in internet, in particolar modo nel sito ufficiale della Regione Veneto (www.regione.veneto.it), dove sono presenti le più importanti normative forestali a livello regionale.
  
2.3 Beni e servizi forestali analizzati e contesto dell’analisi
L’analisi è riferita all’ambito forestale, e riguarda la distribuzione dei cinque tipi di diritti di proprietà visti esclusivamente nelle foreste di proprietà privata. Si concentra sulla raccolta del legname, prodotti forestali non legnosi (PFNL), sull’attività venatoria e sulle attività ricreative. Non sono state invece affrontati i diritti di proprietà relativi all’acqua e ai serbatoi di carbonio che, per la loro complessità richiedono un lavoro a parte.
L’analisi riguarda una situazione generalizzata riferentesi ad una proprietà forestale privata “tipo”, appartenente a singole persone fisiche, mentre non affronta casi specifici, come ad esempio le aree Natura 2000.





Capitolo 3. Risultati e discussione

3.1 Diritto di accesso
È il diritto del proprietario ad entrare nel proprio terreno al fine di goderne i benefici non esaustivi e non connessi agli aspetti produttivi.
L’analisi di questo diritto è stata affrontata considerando le possibili situazioni, de jure o de facto, che possono impedire o limitare l’accesso del proprietario alla sua proprietà.

Dopo aver preso atto di quanto previsto dalla Costituzione sul diritto di proprietà, ovvero che - Art. 42: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale” - entrando nello specifico del diritto di accesso, si può citare l’Art. 832 del Codice Civile Italiano, il quale sancisce che:
Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico”.
L’articolo non fa specifico riferimento a situazioni forestali, ma comunque sancisce un principio generale, sotto il quale può venire compreso anche il caso specifico del bosco. Si può quindi affermare che, in base a quanto stabilito dall’articolo, il proprietario di un terreno forestale detiene il diritto esclusivo di accedere in qualsiasi momento al proprio fondo.
Approfondendo la ricerca alle normative specifiche inerenti l’ambito forestale, non è stato trovato alcun vincolo specifico che impedisca l’accesso al proprietario nella sua proprietà.
Tuttavia si può ricordare l’articolo 50 del Regio decreto legislativo 30 dicembre 1923, n. 3267 – Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani (conosciuto come legge Serpieri), il quale prevede che:
Ai proprietari dei terreni da sistemare, e nei quali per l’esecuzione dei lavori progettati risulti indispensabile una totale o parziale sospensione di godimento, è assegnata un’indennità annua in somma fissa tenuto conto del reddito netto all’epoca dell’inizio dei lavori di rinsaldamento e rimboschimento. […]”.
Nell’assunto che, tra le forme di “godimento” rientri anche l’accesso, questo è stato l’unico riferimento ritrovato in merito ad una probabile impossibilità temporanea del proprietario di poter accedere al proprio terreno forestale.
Per una maggiore certezza in merito a questa affermazione, è stata anche consultata la Legge 21 novembre 2000 – Legge-quadro in materia di incendi boschivi al fine di verificare che non sussistano in questo caso ulteriori limitazioni all’accesso in bosco da parte del proprietario in seguito ad un incendio, ma non è stato trovato nulla in proposito.
Inoltre, sempre pensando al diritto di accesso, un’ulteriore verifica incrociata è stata fatta in riferimento all’Art. 4 (comma 1) della Legge regionale del Veneto 31 marzo 1992, n. 14 – Disciplina della viabilità silvo-pastorale che esprime i vincoli di accesso al bosco attraverso veicoli a motore e specifica come al proprietario del bosco venga permessa l’entrata con ogni mezzo di trasporto sul fondo di sua appartenenza[1].
Si può concludere quindi che il proprietario forestale detiene in ogni tempo e modo il diritto di accedere al proprio terreno, anche se questo deve coesistere con le norme generali in merito alla tutela della proprietà, nell’interesse pubblico e legale.
  
3.2 Diritto di prelievo/raccolta
È il diritto del proprietario di prelevare, raccogliere ed estrarre i prodotti forestali – legname, legna da ardere, alberi, piante, funghi, lettiera, frutti di bosco, selvaggina – dal proprio bosco.
Il legname è sia il prodotto economicamente più importante, che quello la cui estrazione può comportare il maggior impatto sulla foresta, pertanto è logico aspettarsi che sia anche quello su cui si è concentrata la regolamentazione.
Nei paragrafi seguenti verrà trattato nello specifico il diritto di prelievo di legname, delineando il quadro di compatibilità legale e istituzionale contenuto nelle leggi, sia nazionali, che regionali. In seguito verranno discusse anche le possibilità del proprietario di prelevare lettiera e PFNL, in particolare i funghi. Infine sarà analizzata la normativa prevista per poter praticare attività venatoria e di pascolo nel bosco.

3.2.1 Regolamenti in materia di prelievo di legname
La prima normativa di livello nazionale che ha affrontato l’argomento è stata il Regio decreto-legislativo 30 dicembre 1923, n. 3267 – Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani, più noto come Legge Serpieri; tale legge ha posto la base di partenza per definire i modi d’uso del prodotto primario del bosco, il legname, al fine primario di rendere l’utilizzo produttivo compatibile con la tutela del suolo nell’ambiente forestale.
Successivamente, con il Decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, viene affidata alle regioni la gestione dei beni forestali, le quali inoltre formano programmi per la gestione del patrimonio silvo-pastorale dei comuni ed altri enti.
L’anno seguente è stata proclamata in Veneto la Legge Regionale 13 settembre 1978, n. 52 – Legge forestale regionale, nella quale l’Art. 1 sancisce che:
La Regione del Veneto, in attuazione di quanto previsto dall’art. 4 del proprio Statuto, promuove la difesa idrogeologica del territorio, la conservazione del suolo e dell’ambiente naturale, la valorizzazione del patrimonio silvo - pastorale, la produzione legnosa, la tutela del paesaggio, il recupero alla fertilità dei suoli depauperati e degradati, al fine di un armonico sviluppo socio - economico e delle condizioni di vita e sicurezza della collettività.
Da questa legge sono state definite le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale (provvedimento del Consiglio Regionale del 21 aprile 1980, n. 1066 e Deliberazione del Consiglio regionale del 23 ottobre 2003, n. 51), prime norme tecniche specifiche inerenti alle modalità di utilizzo del legname e dei comportamenti da attuare in ambiente forestale.
L’aggiornamento della Legge Forestale Regionale, avvenuto nel 1997 ha prodotto nuove norme in merito alla gestione e all’utilizzo dei prodotti forestali, incluse nelle Norme tecniche in materia forestale. Disposizioni esecutive di attuazione della L. R. 27 giugno 1997, n. 25 (Deliberazione della Giunta Regionale 30 dicembre 1997, n. 4808).
Da queste fonti normative e giuridiche sono state tratte le informazioni che seguono.

3.2.1.1 Autorizzazioni necessarie per il prelievo di legname a scopi commerciali
L’elenco delle procedure previste dalla Regione Veneto per il prelievo di legname attraverso il taglio è descritto nelle Norme tecniche in materia forestale, DGR 4808 del 1997 nella sezione Procedure per l’utilizzazione dei boschi, inserita nella parte normativa relativa al Piano di riordino forestale. In questa sezione le diverse formazioni arboree presenti nel bosco vengono suddivise in alcune “supercategorie normative”; il proprietario del bosco, a seconda del quantitativo di legname che intende utilizzare, può disporre di tre tipi di protocolli, da presentare alla Sezione di difesa idrogeologica e forestale:
a) una Dichiarazione di taglio;
b) un Progetto di taglio;
c) un Progetto speciale di taglio;
La Dichiarazione di taglio viene presentata in due casi:
·       Quando la superficie interessata al taglio è minore di 2,5 ha per le formazioni governate a ceduo;
·       Se il quantitativo utilizzato è minore di 100 m3 per le formazioni governate a fustaia;
Qualsiasi altro tipo di utilizzazione superiore a quanto indicato è soggetto alla redazione di un Progetto di taglio;
Il Progetto speciale di taglio viene presentato nel caso si volessero eseguire tagli su formazioni boschive appartenenti alla “supercategoria B”, la quale viene descritta alla sezione Supercategorie normative e interessa le formazioni boschive di tipo “sensibile” (formazioni ripariali, aree faunistiche particolari, formazioni che necessitano di interventi di selvicoltura minimale, fustaie transitorie, etc.).
Nel caso in cui i tagli siano superiori ai 100 m3 per le formazioni governate a fustaia, o vengano effettuati su una superficie maggiore o uguale a 2,5 ha per le formazioni governate a ceduo, solo alle ditte boschive in possesso di Patentino di idoneità forestale viene consentito di effettuare le operazioni di taglio ed esbosco, sia che utilizzino soprassuoli di Enti pubblici, che per conto di privati.
La documentazione da presentare per l’ottenimento del Patentino di idoneità forestale è elencata al sito www.piave.veneto.it, che specifica che la richiesta al rilascio va presentata al dirigente della Sezione di difesa idrogeologica e forestale. Il Patentino ha validità di 3 anni ed è removibile. La Sezione di difesa idrogeologica e forestale detiene l’elenco delle imprese a cui viene rilasciato il Patentino di idoneità forestale.

3.2.2 Regolamentazione del prelievo dello strame, della ramaglia e della lettiera e relative autorizzazioni
L’Art. 15 delle Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale della Regione Veneto prescrive il divieto di raccogliere strame, rami e lettiera nei boschi di nuova formazione e in quelli in corso di rinnovazione e nei terreni a pendenza superiore al 50%.
Negli altri casi tale prelievo può essere consentito subordinatamente all’autorizzazione dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste (che ora corrisponde ai Servizi Forestali Regionali[2] in base alla Legge Regionale 15 gennaio 1985, n. 8). Inoltre è stabilito che questo tipo di prelievo potrà ripetersi nello stesso luogo non prima che sia trascorso almeno un decennio.
Essendo questa una normativa comune a tutti i tipi di boschi, tale provvedimento si applica sia ai boschi pubblici che privati, il cui proprietario è quindi tenuto a munirsi di un’autorizzazione specifica. La motivazione alla base di queste restrizioni è la probabile pericolosità di caduta degli alberi o la mancanza di sostanza organica per il rinnovo del bosco, considerando che la raccolta di strame, rami e lettiera avvenga in quantità considerevoli.
Tuttavia, è difficile pensare che un proprietario osservi queste normative nel caso prelievi piccole quantità di lettiera, probabilmente ai fini di autoconsumo. Si deduce quindi che se egli prende atto del fine per cui è stato costituito l’articolo, e non mette a rischio l’esistenza del bosco, ha la possibilità di prelevare piccole quantità di strame dal sottobosco senza alcuna autorizzazione, avvalendosi di un diritto de facto.

3.2.3 Regolamentazione del prelievo di funghi
Le leggi che disciplinano la raccolta e la commercializzazione di funghi epigei freschi e conservati sono la Legge Nazionale 23 agosto 1993, n. 352, la Legge Regionale 19 agosto 1996, n 23 e la Legge Regionale 31 gennaio 2012, n. 7. Le leggi non distinguono in base allo scopo della raccolta e si applicano indistintamente sia che si tratti di raccolta ai fini di autoconsumo che di raccolta per scopi commerciali.
I funghi, come gli altri prodotti del suolo, appartengono al proprietario del fondo, sia esso pubblico o privato.
In materia, la Legge Nazionale, con l’Art. 4, rilascia alle Regioni, sentite le province, i comuni e le comunità montane, il compito di determinare la quantità massima per persona della raccolta giornaliera di funghi epigei, entro comunque il limite massimo di tre chilogrammi complessivi.
Nella recente Legge Regionale del 31 gennaio 2012, n. 7, (Art. 3) è stata modificata la quantità di raccolta giornaliera pro-capite dei funghi epigei commestibili, la quale è aumentata a Kg 3 (prima era di Kg 2), di cui non più di Kg. 1 delle specie presenti nell’articolo (per conoscere le specie si può consultare l’Art. 3 della Legge Regionale del 19 agosto 1996).
Tuttavia, l’Art. 3 della L. R. 1996 (comma 6) stabilisce che nessun limite sia posto al proprietario del terreno per quanto riguarda la quantità massima giornaliera della raccolta dei funghi.
L’Art. 6 della L. R. 2012 tuttavia predispone un limite temporale alla raccolta dei funghi, stabilendo che la Giunta regionale, sentiti gli enti di cui all’articolo 2 o su segnalazione degli stessi, può ulteriormente disporre limitazioni temporali alla raccolta dei funghi nelle zone in cui possono manifestarsi nell’ecosistema sfavorevoli modificazioni dei fattori biotici ed abiotici che regolano la reciprocità dei rapporti fra micelio e radici delle piante componenti il bosco. Inoltre la Giunta può vietare, per periodi limitati, la raccolta di una o più specie fungine dichiarate in pericolo di estinzione da Istituti scientifici universitari o dalle Associazioni micologiche, sentito il parere di Province, Comuni, e Comunità montane.
Infine l’Art. 2 della L. R. 2012 (comma 3) prevede che i proprietari dei terreni siano esentati dal possesso di licenza e di permesso di raccolta dei funghi. Questa disposizione conferma quanto già detto, e cioè che il fungo viene considerato nella piena disponibilità del proprietario del fondo, il quale non è soggetto ad alcuna limitazione per quanto riguarda la raccolta.

3.2.4 Regolamentazione del prelievo venatorio (caccia alla fauna selvatica)
I regolamenti inerenti l’attività venatoria sono inclusi nella Legge Nazionale 11 febbraio 1992, 157 – Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio
Al comma 1 dell’Art. 1 viene stabilito che:
La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale”.
E nel comma 2 dello stesso articolo:
“L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole.”
Questi sono i fondamenti principali su cui si basa la possibilità dell’esercizio venatorio all’interno dello Stato Italiano.
Entrando nel dettaglio occorre analizzare come viene coordinata l’attività della caccia a livello statale, chi detiene il potere di predisporre piani specifici per l’attività venatoria, chi ha il diritto di poter cacciare e presso quali zone; infine è bene conoscere la quantità di selvaggina da poter prelevare attraverso la caccia.
Come stabilito nel comma 3 dell’Art. 1, e ribadito successivamente nell’Art. 9, sono le regioni ad esercitare funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria: le stesse svolgono anche i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla suddetta legge e dagli statuti regionali.
Nell’Art. 10 viene descritto il piano faunistico-venatorio predisposto dalle regioni, sulla base del territorio di competenza. Le regioni non pronunciano nuove legislazioni in merito, ma eseguono i provvedimenti emanati dalla legge statale. Anche la Regione Veneto quindi si occupa della realizzazione dei piani faunistico-venatori sulla base di questa legge.
Ai fini della possibilità di praticare l’esercizio dell’attività venatoria, il primo articolo da consultare è l’Art. 12.  Come previsto infatti dal comma 1 dell’articolo:
“l’esercizio dell’attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggono i requisiti previsti dalla presente legge.”
Da qui vengono espresse le normative riferenti ai luoghi in cui è possibile svolgere attività venatoria, il diritto di appartenenza al cacciatore della fauna selvatica abbattuta, l’età minima del cacciatore (diciottesimo anno compiuto) e la necessità di detenere la licenza dell’arma utilizzata e dell’apposito tesserino di caccia.

Nell’Art. 14 vengono presentate le disposizioni inerenti alla gestione programmata della caccia, ovvero, in particolare, il dovere delle regioni di ripartire il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia in ambiti territoriali di caccia.
Nel comma 3 inoltre è previsto il potere ad opera del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (allora denominato “Ministero dell'agricoltura e delle foreste”) di stabilire l’indice di densità venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia. Come descritto nel comma
tale indice è costituito dal rapporto fra il numero dei cacciatori, ivi compresi quelli che praticano l'esercizio venatorio da appostamento fisso, ed il territorio agro-silvo-pastorale nazionale”.
L’indice di densità venatoria minima delinea il numero massimo degli aventi il diritto di esercitare attività venatoria.
Infine è opportuno citare gli Art. 18 e 19, nei quali vengono determinate le specie cacciabili e il relativo periodo di attività venatoria stabilito dalle regioni, il quale deve essere contenuto tra il 1° settembre e il 31 gennaio, il numero massimo di giornate di caccia settimanali (non superiore a 3) e l’orario giornaliero consentito all’attività (dall’ora prima del sorgere fino al tramonto).
In particolare l’Art. 19 pone il dovere della regione di effettuare controlli in merito alla quantità di ogni specie di selvaggina cacciabile nel territorio, stabilendo, nel caso, divieti e riduzioni dei periodi prestabiliti alla caccia a determinate specie, qualora sovvenissero importanti motivazioni connesse alla consistenza faunistica o alle condizioni ambientali.

3.2.5 Regolamentazione del prelievo delle risorse foraggere (pascolo)
Questo aspetto viene regolamentato dall’Art. 20 delle Prescrizioni di Massima e di Polizia forestale (provv. n. 1066 del 1980), in cui vengono descritti i casi in cui il pascolo nei boschi è vietato:
a) nei boschi cedui, prima che il novellame abbia raggiunto l’altezza di m. 2 per il bestiame ovino e suino, prima che il novellame abbia raggiunto l’altezza di m. 4 per il bestiame bovino ed equino;
b) nelle fustaie coetanee, prima che il novellame abbia raggiunto l’altezza di m. 3 per gli animali ovini e suini e di m. 4 per gli animali bovini ed equini;
Nei boschi di nuova formazione, in quelli distrutti o gravemente danneggiati dagli incendi o da altre cause, nei boschi troppo radi e deperiti, il pascolo è comunque vietato sino a che gli stessi non si siano definitivamente affermati e abbiano raggiunto uno sviluppo tale da non subire danno per il morso del bestiame.
Inoltre all’Art. 21 è prescritto che è vietato far transitare e comunque immettere animali nei boschi chiusi al pascolo, anche se propri, e nei vivai forestali.
Poiché le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale hanno validità su tutti i tipi di boschi, inclusi quelli privati, i soggetti appartenenti ad ogni forma di proprietà, che sia collettiva o individuale, sono tenuti ad osservare le restrizioni presenti negli articoli.

3.3. Diritto di gestione
È il diritto del proprietario di occuparsi della gestione delle risorse boschive incluse nel fondo di sua appartenenza. Il diritto include quindi la possibilità di effettuare cambiamenti nell’uso del suolo, occuparsi di eventuali rimboschimenti, redigere un piano specifico per la gestione forestale, gestire le tempistiche e le modalità di taglio. È quindi un aspetto cruciale per la gestione e la conservazione delle risorse perché è proprio grazie alle possibilità di gestione che vengono decise le operazioni da effettuare nel territorio, siano esse di prelievo di legname, funghi o venatorio, o che modificano in modo più severo l’uso del suolo.
Tale diritto si presenta molto complesso e può venire considerato sotto diverse prospettive: del cambiamento d’uso del suolo (in entrambe le direzioni: riduzione di superficie boscata o rimboschimento di terreni nudi), della pianificazione forestale, della definizione degli obiettivi della gestione, della scelta dei trattamenti selvicolturali, e delle modalità di taglio. Nella trattazione che segue, ogni aspetto verrà trattato dal punto di vista legale e istituzionale, in riferimento alle normative nazionali e regionali.
È opportuno, al fine di una maggior comprensione dell’argomento, mettere in rilievo alcune leggi che decretano i criteri di gestione del patrimonio forestale in Italia e nel Veneto.
L’istituzione di maggior rilevanza in questo caso, già citata nel “Diritto di prelievo”, è il D. P. R. 24 luglio 1977, n. 616, in cui viene deliberato l’affidamento alle regioni della gestione dei beni forestali e degli interventi inerenti il territorio forestale; come segue:
“Sono trasferite alle regioni tutte le funzioni esercitate dallo Stato o da altri enti pubblici, comprese le camere di commercio, ed esclusi i comuni e le comunità montane, concernenti i territori montani, le foreste, la proprietà forestale privata, i rimboschimenti e le proprietà silvo-pastorali degli enti locali, compresi i poteri di determinazione di vincoli e gli interventi sui terreni sottoposti a vincoli. Lo Stato con legge può individuare patrimoni boschivi ai quali si applichino comunque i vincoli previsti dalla legislazione sulle foreste.
La gestione dei beni forestali può essere affidata dalle regioni ad aziende interregionali costituite a norma delle disposizioni di cui all'art. 8 del presente decreto. Le regioni formano programmi per la gestione del patrimonio silvo-pastorale dei comuni ed altri enti […]”
Dunque, a partire da questo strumento di trasferimento amministrativo delle funzioni forestali, le normative da analizzare per definire gli ambiti della gestione forestale, provengono da leggi regionali, in particolare dalla Regione Veneto.
L’unica legislazione a livello nazionale che viene considerata è il più recente D. L. 18 maggio 2001, n. 227, nel quale sono enunciate le prescrizioni nazionali poste a supplire eventuali mancanze di normative regionali in merito alla gestione forestale.
3.3.1 Regolamenti per il cambiamento di uso del suolo e la riduzione di superficie boscata
Per concepire chiaramente quali sono i possibili vincoli riguardo al cambiamento di uso del suolo e della riduzione di superficie boscata, occorre prima mettere in luce la definizione giuridica di bosco, essenziale nel definire i casi reali di cambiamento d’uso del suolo. È grazie a queste definizione che è possibile concepire l’estensione boschiva minima per cui i cambiamenti d’uso del suolo sono o meno regolati da una normativa. Nel comma 6 dell’Art. 2 del D. L. 18 maggio 2001, n. 227 vengono stabiliti i criteri per cui una formazione arborea possa essere definita come “bosco”:
“Nelle more dell'emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d'arboricoltura da legno di cui al comma 5. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti […]”
Nell’Art. 4 della Legge forestale Regionale (legge n. 52 del 1978) viene affrontata la questione inerente al cambiamento di uso del suolo, rimandando i vincoli normativi alla legge Serpieri del 1923, la quale afferma che (Art. 7):
Per i terreni vincolati la trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione sono subordinate ad autorizzazione del Comitato forestale e alle modalità da esso prescritte, caso per caso, allo scopo di prevenire i danni di cui all'art. 1. Ora, Regioni.”
Per “terreni vincolati” vengono intesi i terreni sottoposti a vincolo idrogeologico, il cui riferimento sta nella legge Serpieri del 1923. Si può osservare l’importanza di questa disposizione, dato che, secondo l’Inventario Forestale Nazionale del 2005 (INF, 2005), il 95% della superficie forestale italiana è sottoposta a vincolo idrogeologico.
Più recenti sono invece le indicazioni descritte nelle Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale della Regione Veneto (provv. C. R. 21 aprile 1980, n. 1066), in cui all’Art. 53 viene stabilito che la trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e dei terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione o quella che comunque comporti mutamento permanente di destinazione di terreni vincolati, è subordinata all'autorizzazione della Giunta Regionale. Vengono inoltre fornite ulteriori specifiche in merito alla domanda da presentare al Presidente della Giunta Regionale del Veneto per ottenere le autorizzazioni richieste, la documentazione da allegare alla domanda, le tempistiche di ottenimento dell’autorizzazione e i possibili dinieghi. Ad ogni modo, osservando queste indicazioni, si può affermare come esista la possibilità, seppure fortemente limitata, da parte del proprietario, di poter effettuare cambiamenti di uso del suolo. Tali cambiamenti riguardano sostanzialmente la riduzione di superficie boscata, normata nuovamente dalla Legge Forestale Regionale, all’Art. 15.
Nell’articolo è previsto il divieto di qualsiasi riduzione della superficie forestale salvo espressa autorizzazione della Giunta regionale, rilasciata nel caso in cui sia possibile compensare la perdita delle funzioni di interesse generale svolte dal bosco oggetto della richiesta, mediante l’adozione di una delle seguenti misure compensative:
a) destinazione a bosco di almeno altrettanta superficie;
b) miglioramento colturale di una superficie forestale di estensione doppia rispetto a quella ridotta;
c) versamento di una somma, in un apposito fondo regionale, pari al costo medio del miglioramento colturale di una superficie doppia a quella di cui si chiede la riduzione;
Ulteriori specificazioni in merito alle Misure Compensative sono riportati nella D. G. R. 30 dicembre 1997, n. 4808 – Norme tecniche in materia forestale.
Un’altra norma che riguarda il cambio d’uso del suolo nei boschi è quella che vieta espressamente le costruzioni edilizie nei boschi, salvo quelle espressamente previste dagli strumenti urbanistici.

3.3.2 Regolamenti per il rimboschimento dei terreni forestali dopo catastrofi naturali e tagli finali
Diversamente da quanto previsto per interventi attivi di tipo antropico sul territorio, con annessa trasformazione o riduzione del suolo, esistono anche regolamenti istituiti per valorizzare e ripristinare zone di bosco in via di degrado.
Tale degrado può essere legato ad origini di tipo naturale, come eventi eccezionali, quali incendi, attacchi parassitari, venti, colate detritiche, o per mancata rinnovazione dopo un taglio finale.
Nell’Art. 12 della Legge Forestale Regionale del 1978, infatti, viene specificato che è la Regione ad intervenire nel ripristino della zona boschiva oggetto di degrado. Come scritto:
“Per la conservazione dell’efficienza delle opere di sistemazione idraulico - forestale, danneggiate da eventi calamitosi eccezionali, il Presidente della Giunta regionale dispone direttamente il pronto intervento per il loro ripristino, qualora questo non possa essere rinviato nel tempo senza pericolo per la pubblica incolumità.”
Per “opere di sistemazione idraulico-forestale” si intendono in genere le opere di regimazione sulle aste fluviali, ma probabilmente potrebbero anche essere comprese opere di sistemazione del bosco circostante. Inoltre, un’ulteriore indicazione in merito all’onere finanziario del rimboschimento viene fornita dall’Art. 19 della stessa legge:
“Al fine di ripristinarne l’efficienza, dal punto di vista idrogeologico e produttivo, la Regione promuove la ricostituzione dei boschi degradati, assumendone l’onere a totale carico. 
I boschi che si trovano in condizioni di accentuata anormalità per struttura, per densità, per rinnovazione e per ritmo vegetativo, in rapporto, quest'ultimo, alle reali capacità produttive della stazione, sono considerati degradati”.
È chiaro quindi che la legislazione della Regione Veneto mostra un’attenzione particolare alla tutela dei boschi del suo territorio, siano essi di proprietà pubblica che privata, e fa carico alla Regione stessa di effettuare azioni di ripristino delle risorse forestali, con interventi guidati dai propri uffici tecnici e anche con propri fondi.
Inoltre, il proprietario di un bosco in condizione di degrado può avere un ruolo attivo nell’ambito del rimboschimento, in quanto è tenuto a segnalare il danno che ha subito alla Sezione di difesa idrogeologica e forestale, e ad osservare le modalità prescritte da questi ultimi per la ricostruzione del bosco. Tale indicazione si ritrova nell’Art. 30 delle Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale (1980):
“Quando in seguito ad incendio, ad invasione di insetti o di funghi o ad altri fatti dannosi, si verifichi la distruzione totale o parziale di un bosco, o dopo i tagli rimangano spazi vuoti ove il bosco non si rinnovi spontaneamente, il proprietario è tenuto ad osservare le modalità prescritte dall’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste (ora corrispondente alla Sezione di difesa idrogeologica e forestale) competente per territorio per ottenere la ricostruzione del bosco.
La stessa disposizione si applica ai boschi molto radi e a quelli estremamente deteriorati e comunque a quelli definiti dall'art. 19 II comma della Legge Forestale Regionale.”
Nell’Articolo viene specificato che anche in caso di mancata rinnovazione dopo tagli di sgombero è possibile per il proprietario ottenere il ripristino del bosco ad opera della Regione.
È risaputo però come, nonostante le “buone intenzioni” enunciate nella legge, non sempre si sia riusciti a riservare fondi da destinare al finanziamento delle opere di rimboschimento. In realtà, negli ultimi anni la Regione ha difficoltà a sostenere persino un adeguato finanziamento per la redazione dei Piani di riassetto. Molti boschi quindi rimangono ancora in condizione di abbandono e di degrado. Pertanto è importante riconoscere una forte divergenza tra quanto è prescritto dalla Legge e quanto effettivamente accade.

3.3.3 Regolamentazione per la pianificazione della gestione forestale
In questa sezione verrà affrontato l’argomento della pianificazione forestale, specificando i tipi di piani previsti, le modalità di scelta del tipo di piano, le autorità atte alla redazione, alla gestione, all’approvazione e al sostegno economico dei piani stessi; inoltre verranno specificati i casi in cui un proprietario forestale può integrare i propri obiettivi di gestione forestale nel piano, interagendo con la redazione del piano.

3.3.3.1 Tipi di piano previsti nella Regione Veneto
L’Art. 23 della Legge Forestale Regionale risulta il fondamento più importante per capire come è regolamentata la pianificazione forestale in Veneto. Come scritto nei primi tre commi, infatti:
“1. Tutti i boschi devono essere gestiti e utilizzati in conformità ad un piano economico di riassetto forestale dei beni silvo-pastorali regolarmente approvato.
2. I Comuni, o gli Enti parco, per le aree di propria competenza territoriale, predispongono piani di riordino forestale per le superfici silvo-pastorali che per motivi tecnici non possono essere comprese nei piani di cui al comma 1.
3. I piani di cui ai commi 1 e 2, sostituiscono le prescrizioni di massima e di polizia forestale emanate ai sensi della presente legge.”
Occorre però fornire delle specificazioni in merito alle disposizioni tecniche che vengono incluse in questi piani e ai casi in cui si attua il piano di riassetto forestale o il piano di riordino forestale.
1) Il Piano di riassetto forestale viene redatto nel caso di una proprietà boschiva di almeno 100 ettari, che sia di tipo pubblico o privato. Questo piano è da intendere come un piano di assestamento in cui viene previsto e pianificato il trattamento selvicolturale della foresta; fornisce infatti le indicazioni precise in merito a quando, dove e quanto tagliare all’interno del bosco.
Inoltre, esso è un piano atto a garantire la conservazione del livello di biodiversità, obiettivo che consente di definire linee d’intervento ad incidenza ambientale minima o nulla. Questo piano rappresenta un momento fondamentale nell’organizzazione dell’insieme di azioni della proprietà silvo-pastorale pianificata.
Potendo citare un esempio nel Veneto di proprietà privata nella quale viene redatto un piano di riassetto forestale, si può considerare la proprietà collettiva delle Regole Ampezzane, la cui superficie boscata di appartenenza è molto vasta. Pertanto la redazione di un piano di riassetto forestale risulta la soluzione più appropriata per questo tipo di territorio (www.regole.it).

2) Nel caso in cui la proprietà privata sia una proprietà di superficie ridotta (e in genere anche piuttosto frammentata), i Comuni o gli Enti Parco possono prescrivere un Piano di riordino forestale, all’interno del quale il territorio forestale viene suddiviso in alcune macrocategorie di ecotipi forestali. Questo piano ha per lo più uno scopo informativo e consultivo, in quanto fornisce le indicazioni per il corretto utilizzo della foresta, qualora il proprietario abbia intenzione di mettere in atto interventi selvicolturali. L’esempio più emblematico di un territorio forestale della Regione Veneto sul quale è stato redatto un piano di riordino forestale è il Parco dei Colli Euganei, in cui nel 2010 è stato istituito un piano di gestione della Zona di Protezione Speciale sui canoni del piano di riordino (www.parcocollieuganei.com).

La gestione dei entrambi i Piani per la gestione forestale spetta alla Sezione Parchi Biodiversità Programmazione Silvopastorale e Tutela dei Consumatori. La redazione può venire effettuata solo da tecnici autorizzati, cioè iscritti all’albo dei dottori agronomi e forestali, secondo quanto decretato dalla Legge 10 febbraio 1992, n. 152.
La redazione del piano viene inviata alla Sezione di difesa idrogeologica e forestale che ne valuta la validità; il piano poi viene approvato dalla Giunta Regionale, che fornisce anche un sostegno economico integrale o del 75%, a seconda della produttività del bosco.
Come scritto infatti nei commi 6 e 8 dell’Art. 23:
(comma 6) “La Giunta regionale concede un contributo nella misura massima del settantacinque per cento della spesa necessaria per la redazione dei piani di cui ai commi 1 e 2.”
(comma 8) “Nei casi di patrimoni di scarsa produttività, i Piani di cui ai commi 1 e 2 possono essere finanziati a totale carico della Regione.”
Entrambi i piani hanno in genere una validità di 10 anni, che può venire portata a 12.
Si possono trovare indicazioni dettagliate sulla redazione dei piani nelle Norme tecniche in materia forestale. Disposizioni esecutive di attuazione della L. R. 27 giugno 1997, n. 25.

3) Qualora non venisse redatto alcun piano, né di riassetto forestale, né di riordino, per poter usufruire dei prodotti legnosi della foresta privata, si devono seguire le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale (provvedimento del Consiglio Regionale del 21 aprile 1980, n. 1066 e Deliberazione del Consiglio regionale del 23 ottobre 2003, n. 51).

3.3.3.2 Integrazione dei piani con gli obiettivi del proprietario
La valutazione di questo aspetto nasce dal confronto con realtà di altri paesi, in cui la pianificazione forestale ha l’obiettivo prioritario di soddisfare gli obiettivi del proprietario del bosco. Ci si è posti quindi il problema di capire quante e quali siano, in Italia, le possibilità, da parte del proprietario forestale di perseguire i propri obiettivi “privati” di gestione rispetto alla provenienza di un interesse sostanzialmente pubblico della pianificazione forestale. In generale, si osserva che gli interessi dei proprietari di terreni forestali vengono dichiarati e menzionati nell’ambito del processo partecipativo della pianificazione più moderna, cioè quella prevista dai piani sovraziendali, ovvero i piani forestali di indirizzo territoriale (PFIT), mentre la pianificazione più tradizionale, segue norme ben precise, valide su tutto il territorio regionale e dà scarsa importanza agli obiettivi specifici dei singoli proprietari.
Se il proprietario tuttavia detiene un fondo di dimensione modeste e per cui non viene prescritto alcun piano per la gestione forestale, ma è obbligato a seguire solamente le Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale, egli può decidere con maggiore grado di libertà i suoi obiettivi di gestione. Tuttavia, come previsto dall’Art. 22 della Legge Forestale Regionale, egli deve sottostare ad alcuni obblighi di manutenzione del bosco attraverso opere di selvicoltura.
Nell’articolo infatti è prescritto che:
“Tutti i proprietari di boschi sono tenuti ad eseguire, nei medesimi, operazioni selvicolturali, al fine di migliorarne la struttura, normalizzare la provvigione, favorire la rinnovazione naturale ed incrementare la produttività […].
La Regione concorre al miglioramento dei boschi esistenti, concedendo contributi fino alla misura massima del 75 per cento.
I contributi sono concessi dalla Giunta regionale.
L’onere per tali lavori potrà essere assunto a totale carico della Regione, nel caso in cui l’intervento colturale risulti passivo sotto l’aspetto economico.”
Solo dopo aver osservato le attenzioni previste dall’articolo, ed aver effettuato le operazioni selvicolturali necessarie, grazie anche all’aiuto economico della Regione, il proprietario di un terreno forestale può allora intraprendere strade diverse in merito alla gestione delle risorse boschive; può infatti massimizzare la produzione di prodotti diversi dal legname, come ad esempio i prodotti forestali non legnosi, anche a scapito della produzione di legname, qualora i proventi derivanti da queste risultino più proficui della vendita di legname.
In riferimento a ciò è possibile citare un lavoro di tesi che richiama la possibilità che una domanda di mercato dei prodotti forestali non legnosi superi quella della vendita del legname. Come riportato da Rigoni (2006), il Comune di Asiago negli ultimi anni ha realizzato importanti introiti relativi alla vendita dei premessi di raccolta funghi, che hanno superato quelli provenienti dalla vendita di legname, il cui prezzo è calato invece di oltre cinque volte negli ultimi vent’anni. I proventi maggiori quindi sono da attribuirsi alla vendita dei permessi di raccolta funghi, un dato che dimostra come si sia profondamente modificato lo spettro di beni e servizi oggetto di domanda da parte della società moderna rispetto al passato. In ragione a ciò, è possibile, grazie a questa nuova consapevolezza, che un proprietario forestale intraprenda nuove strade in merito alla gestione delle risorse a sua disposizione, valutando nuove possibilità e coordinando il sistema foresta in più direzioni.

3.3.4 Regolamentazione per la gestione dei tagli boschivi
Viene qui descritta la capacità del proprietario di gestire i tagli boschivi nel fondo di sua appartenenza; in questo caso il prelievo di legname viene visionato sotto il punto di vista decisionale, ovvero sulla capacità del proprietario di decidere in merito ai tagli che devono essere effettuati.
Nel caso di una proprietà privata poco estesa e di un unico proprietario, il quale non è obbligato a redigere una pianificazione forestale, se tale proprietario intende usufruire di una quantità di legname inferiore a 100 m3 (in una formazione a fustaia), o decide di effettuare tagli entro una superficie di 2,5 ettari (in una formazione a ceduo), egli può liberamente gestire il proprio bosco presentando solamente una Dichiarazione di taglio alla Sezione di difesa idrogeologica e forestale.
Nel caso invece la foresta sia soggetta ad un Piano di riordino forestale ed il proprietario intenda effettuare tagli oltre i limiti previsti, egli deve presentare una Progetto di taglio o un Progetto speciale di taglio.
Nel caso di una proprietà privata di forma collettiva, come per esempio la proprietà regoliera, dato che in questo caso è stato elaborato un Piano di riassetto forestale, bisogna seguire le norme che sono prescritte nel piano.
Ci sono altri aspetti relativi alla gestione forestale che possono essere considerati in questo contesto. Essi sono:
·       Chi decide in merito alle piante da tagliare nel corso dei tagli boschivi effettuati per soddisfare la ripresa prescritta dal piano o per effettuare interventi selvicolturali quali diradamenti o cure colturali;
·       Chi decide in merito a quando effettuare i tagli boschivi (problema della durata del turno);
·       Chi decide in merito a quali specie utilizzare nel caso di rimboschimenti.
Il primo quesito è rilevante nel contesto della Regione Veneto (ed in Italia in generale), dove il modello selvicolturale adottato è di tipo disetaneo e pertanto solo alcune piante cadono al taglio anche al momento dell’utilizzazione finale, che coincide con lo scadere del periodo di curazione. L’opera di scelta e segnatura delle piante che devono cadere al taglio in Italia è denominata martellata, poiché viene utilizzato un particolare strumento, denominato martello forestale, il quale deve contenere la sigla della provincia dell’ordine di appartenenza del Dottore agronomo e forestale, il numero di iscrizione all’albo e la sezione di iscrizione. Per rispondere è opportuno fare riferimento ad un paragrafo della D. G. R. del 1997, n. 4808 – Norme tecniche in materia forestale. Disposizioni esecutive di attuazione della L. R. 27 giugno 1997, n. 25, il quale descrive le condizioni per cui è possibile effettuare interventi selvicolturali in un bosco:
“Fermo restando che per le utilizzazioni superiori od uguali ai limiti fissati dal quinto comma dell’Art. 23 della L. R. 52/78 (cioè i 2,5 ettari per i cedui o i 100 m3 per le fustaie) deve sempre essere predisposto un progetto di taglio ed il relativo verbale di assegno previa martellata, per i tagli di entità inferiore ai limiti sopra citati, il piano di riassetto forestale deve indicare, nel paragrafo relativo agli interventi programmati, le procedure di tagli da seguire, con riferimento a situazioni di fragilità strutturale o fisica del soprassuolo o a particolari caratteristiche selvicolturali del bosco […], specificando se si debba procedere alla stesura di una semplice relazione di taglio oppure, in virtù della delicatezza degli interventi, se si debba comunque redigere una relazione speciale di taglio da approvarsi da parte del Servizio forestale Regionale competente”.
Inoltre all’Art. 23, commi 1, 4 e 6, e all’Art. 23-bis della Legge Regionale 13 settembre 1978, n. 52, viene delineato il dovere di redigere un piano di riassetto forestale, finanziato in gran parte dalla Regione, e di utilizzare il bosco in base a progetti di taglio effettuati da tecnici autorizzati.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi al momento del taglio e alla durata del turno, nella D. G. R. del 1997, n. 4808, alla sezione “Contenuti del progetto di taglio”, viene specificato che il tecnico autorizzato è tenuto a presentare “una descrizione del tipo d’intervento che si intende attuare delineandone anche gli obiettivi a lunga scadenza; tale intervento dovrà essere conforme a quanto previsto nel Piano di riordino”. È quindi reso noto che la durata del turno è compresa nel Progetto di taglio, redatto dal tecnico, per il proprietario. Inoltre, alla sezione “Prescrizioni standard speciali”, vengono illustrate le tempistiche d’intervento per ogni formazione arborea presente.
Infine, stando alle Norme tecniche per la redazione dei Piani di Riordino Forestale, dei Progetti di taglio e delle Dichiarazioni di taglio (messe in atto in base all’Art. 23 della Legge Regionale 13 settembre 1978, n. 52), è stato accertato che non vi è alcun vincolo che riguardi il tipo di specie da utilizzare per il rimboschimento. È chiaro però che con il Progetto di taglio emanato dal tecnico autorizzato, la rinnovazione resta un processo naturale che non può prestarsi a modifiche.
Tuttavia, nelle Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale – provv. del Consiglio Regionale del 21 aprile 1980, n. 1066 e Deliberazione del Consiglio regionale del 23 ottobre 2003, n. 51, l’Art 3 specifica che:
“Quando, allo scopo di rinnovare un bosco per mutarne la specie legnosa, si voglia procedere al taglio, estirpare di ceppaie ed alla lavorazione del suolo, occorre chiederne l’autorizzazione all’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste (Sezione di difesa idrogeologica e forestale) competente per territorio, indicando i lavori che si intendono eseguire e lo scopo che si vuol raggiungere. Il detto Ispettorato determina le modalità dei lavori da eseguire ed il termine entro il quale questi devono essere compiuti”.
Il proprietario ha quindi facoltà di cambiare le specie che compongono il bosco, ma deve osservare le norme vigenti.

3.4 Diritto di esclusione
È il diritto del proprietario di limitare al pubblico l’accesso e il prelievo delle risorse forestali dal proprio bosco. Se possiede questo diritto, il proprietario può escludere dalla sua proprietà tutti gli individui che non presentano determinati requisiti. Il punto cruciale relativo è chi stabilisca i requisiti necessari per concedere l’accesso, se il proprietario o l’autorità pubblica.
In particolare verranno trattati qui i limiti legali che il proprietario può liberamente imporre a terzi per quanto riguarda, in generale, l’accesso al bosco per svolgere attività ricreative quali il campeggio; inoltre viene esaminato il caso particolare dell’accesso e circolazione con veicoli motorizzati. Poi vengono affrontati i casi relativi ad attività che implicano non solo accesso ma anche prelievo, cioè la raccolta dei funghi e l’attività venatoria.
Le normative generali che guidano le possibilità di escludere, da parte del proprietario, altri dall’accesso e dall’uso di un bosco privato sono definite innanzitutto a livello nazionale e precisamente nel Codice Civile Italiano alla sezione che tratta della proprietà fondiaria. Per altri aspetti, es. limitazioni alla circolazione con veicoli motorizzati, al campeggio e alle attività di raccolta funghi e venatoria, si tratta di disposizioni definite a livello regionale, e queste sono state pertanto riferite a quanto previsto dalla regione Veneto.

3.4.1 Limitazioni generali all’accesso
Le prime indicazioni inerenti alla possibilità di un proprietario forestale di limitare l’ingresso al pubblico al proprio fondo sono date dal Codice Civile Italiano, nell’Art. 841.
Nell’articolo infatti viene espresso che:
“Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo (1054, 1064)”.
Il proprietario detiene quindi il diritto di chiudere l’accesso al fondo in qualsiasi tempo. Tale diritto viene poi amplificato dall’Art. 637 del Codice Penale - Ingresso abusivo nel fondo altrui:
“chiunque senza necessità entra nel fondo altrui recinto da fosso, da siepe viva o da un altro stabile riparo è punito […]”.
Ai fini della tesi risulta interessante mettere in rilievo che un’azione simile rappresenta un reato sanzionato giuridicamente a livello nazionale dal Codice Penale.
Esiste tuttavia un vincolo alla recinzione del fondo, prescritto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. L. n. 42 del 2004); vi è ovvero la necessità da parte del proprietario di chiedere l’autorizzazione paesaggistica, qualora il bosco di sua appartenenza fosse giudicato da parte della legge stessa come un bene paesaggistico e venisse tutelato quindi a livello nazionale.
L’Art. 146 in merito all’Autorizzazione paesaggistica esprime infatti che:
“I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all'articolo 157, […] ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.”
Da queste indicazioni si nota come, de facto il “diritto” di esclusione si possa esercitare solo attraverso un’azione attiva legata alla recinzione del bosco, cioè ad un’azione molto onerosa in termini di tempo e di denaro: il diritto in questo caso, sembra essere molto bilanciato verso la componente “pubblica” della risorsa forestale. Nei casi in cui non sia possibile recintare, al proprietario viene negata la possibilità di controllare il proprio bosco dall’ingresso di terzi, con un rischio di danno, anziché di tutela, del proprietario del fondo.
L’Art. 843 del Codice Civile pone invece delle precisazioni in merito ai singoli casi in cui, per legge, viene consentito l’ingresso in un terreno privato:
“Il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.
Se l'accesso cagiona danno è dovuta un'adeguata indennità.
Il proprietario deve parimenti permettere l'accesso a chi vuole riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l'animale che vi si sia riparato sfuggendo alla custodia. Il proprietario può impedire l'accesso consegnando la cosa o l'animale.”
Infine, tra le limitazioni al diritto di esclusione, è il caso di menzionare il caso delle servitù coattive, che prevede che il proprietario sia obbligato a dare passaggio sul fondo in caso di situazioni di pubblica utilità o di specifici interessi di terzi: accesso a fondi agricoli, elettrodotti, acquedotti, linee telefoniche, scarichi.

3.4.2 Limitazioni al pubblico all’accesso alla viabilità forestale, alla circolazione con veicoli motorizzati e al campeggio
Considerando l’importanza della dimensione ricreativa della foresta, si può analizzare il caso dell’accesso alla viabilità forestale da parte di turisti. Al proposito sono state considerate norme più specifiche, di rilievo regionale, che indicano le prerogative e i limiti alle decisioni del proprietario forestale circa le limitazioni all’accesso al proprio bosco da parte di altri.
La Legge regionale del Veneto 31 marzo 1992, n. 14 – Disciplina della viabilità silvo-pastorale, all’Art. 2 definisce innanzitutto le strade silvo-pastorali e assimilate e ne stabilisce le caratteristiche (commi 1 e 2):
“1. Ai fini della presente legge, sono considerate strade silvo-pastorali le vie di penetrazione situate all'interno delle aree forestali e pascolive.
2. Sono assimilate alle strade silvo-pastorali:
a) le piste forestali;
b) le piste di esbosco;
c) i piazzali di deposito di legname a esclusione di quelli situati lungo la viabilità ordinaria;
d) i sentieri e le mulattiere;
e) i tracciati delle piste da sci e i tracciati degli impianti di risalita;
f) i prati, i pascoli e i boschi.” 
Per quanto riguarda le limitazioni di accesso nelle strade forestali ai veicoli, all’Art. 4, comma 1, la legge prevede che:
“Nelle strade silvo-pastorali e nelle aree assimilate di cui all'art. 2 è vietata la circolazione dei veicoli a motore, fatta eccezione per i mezzi impiegati nei lavori agricoli e forestali, di vigilanza e antincendio, di assistenza sanitaria e veterinaria, per i mezzi dei proprietari dei fondi, dei titolari di altri diritti reali, degli affittuari e dei locatari di immobili situati nel territorio servito della strada, limitatamente al tratto più breve necessario a raggiungere tali immobili, nonché per i mezzi di chi debba transitare per motivi professionali. I mezzi devono essere muniti di apposito contrassegno rilasciato dai Comuni anche a titolo oneroso su modello approvato con deliberazione della Giunta regionale riportante gli estremi di identificazione del veicolo.”
Inoltre il comma 3 dello stesso articolo sancisce che:
“Il divieto di circolazione nelle strade silvo-pastorali […] può essere integrato da idonea barriera fissa disposta a cura del proprietario del fondo od eventuale ente gestore.”
Secondo il comma 6 viene invece consentito il transito ai velocipedi di qualsiasi utente intenda attraversare la strada forestale:
“I velocipedi possono circolare sulle strade silvo-pastorali e sulle aree assimilate di cui all’articolo 2[…]”
Da queste disposizioni risulta molto difficile per chi non dispone di permessi lavorativi speciali o per i non-proprietari della foresta, poter entrare all’interno di essa attraverso veicoli a motore. È invece possibile circolarvi all’interno mediante l’uso esclusivo di velocipedi.

La possibilità di campeggio in foresta viene invece regolamentata dalla Legge regionale del Veneto 13 aprile 1995, n. 21  Norme per la tutela e la regolamentazione dei campeggi educativo-didattici.
Vengono dichiarati dalla legge, in questo caso, tre possibilità di organizzare campeggi sul territorio regionale: campeggio mobile, campeggio autorganizzato e campeggio itinerante.
Le uniche due forme di campeggio che però, secondo quanto previsto dalla legge, possono includere l’uso di una proprietà privata (anche forestale), e prevedere quindi il coinvolgimento del proprietario per permettere lo stazionamento dei campeggiatori nel suo terreno, sono il campeggio autorganizzato e il campeggio itinerante.
L’Art. 5 infatti definisce le caratteristiche del campeggio autorganizzato, come scritto:
“Sono campeggi autorganizzati le attività che utilizzano strutture prevalentemente mobili per periodi di durata non superiore a quindici giorni, per un massimo di tre volte nella stessa località nell'arco dell'anno, intervallate da un periodo di inutilizzo di almeno quindici giorni.”
L’articolo 6 pone in seguito le condizioni per cui questo tipo di campeggio può venire organizzato, indicando anche le disposizioni cui può attingere il proprietario di un fondo privato per esercitare il proprio diritto di esclusione:
“Per lo svolgimento di campeggi autorganizzati le associazioni di cui all'articolo 1 (ovvero associazioni giovanili senza scopo di lucro) devono presentare richiesta di autorizzazione al Sindaco del Comune interessato indicando:
a) le generalità del responsabile che deve essere persona adulta designata dall'associazione organizzatrice;
b) la zona prescelta per l'organizzazione del campeggio che non deve essere coltivata o interdetta all'accesso da idonea segnaletica;
c) il periodo di permanenza;
d) l'assenso del proprietario in caso di aree in uso esclusivo e di proprietà privata.”
L’Art. 7 invece descrive il campeggio itinerante:
“1. Sono campeggi itineranti attività educative che prevedono spostamenti quotidiani e soste non superiori a quarantotto ore.
2. Le associazioni giovanili, che organizzano sul territorio regionale campeggi itineranti, devono rispettare le disposizioni previste dall'allegato C.”
Nell’allegato di riferimento, oltre alle regole comportamentali del campeggiatore, vi è incluso un ulteriore direttiva, ovvero:
“Per lo svolgimento dei campeggi itineranti le associazioni giovanili devono assicurare che:
[…]
per la sosta su aree espressamente individuate in uso esclusivo e di proprietà privata, vi sia preventivo assenso del legittimo possessore;”
Alla luce quindi di quanto prescritto dalla legge regionale del Veneto, il proprietario forestale (in quanto detentore di una proprietà privata) ha il diritto di permettere o meno l’uso pubblico del suo territorio ai fini campeggiatori.

3.4.3 Limitazioni al pubblico per attività di raccolta funghi e venatoria
La legislazione che disciplina la raccolta dei funghi a livello nazionale è la Legge 23 agosto 1993, n. 352, seguita poi da leggi regionali che trattano la materia nello specifico. Nel Veneto le leggi a cui viene fatto riferimento sono la Legge regionale 19 agosto 1996, n. 23 e la più recente Legge Regionale 31 gennaio 2012, n. 7.
Secondo le leggi citate, viene imposto a chiunque intraprenda l’attività di raccolta funghi il divieto di eseguire tale raccolta in alcuni territori, elencati nell’Art. 6 della Legge Nazionale (1993), e poi ripresi nella Legge Regionale (1996), all’Art. 5; nella normativa regionale (più specifica per l’argomento) viene infatti prescritto che:
(comma 2) “La raccolta è altresì vietata nei giardini, nei parchi privati per tutta l'estensione e comunque nei terreni di pertinenza degli immobili ad uso abitativo per un raggio di 100 metri, salvo che ai proprietari stessi.”
Nel caso di un bosco, invece, l’accesso per raccolta dei funghi non è vietato, ma regolamentato in termini di giornate, quantità e titoli necessari alla raccolta. Come verrà in seguito spiegato nella sezione “Diritto di alienazione”, la raccolta funghi è consentita a fronte dell’acquisto di un titolo (il permesso di raccolta dei funghi) e ciò riguarda sia le proprietà pubbliche che quelle private. In alcune situazioni, anzi, sono le grandi proprietà private, ad esempio le proprietà collettive, infatti che possono vendere premessi di raccolta dei funghi nel proprio territorio.

La possibilità di accedere ad un territorio privato per praticare attività venatoria viene confermata dall’Art. 842 del Codice Civile Italiano, in cui viene stabilito che:
Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall'autorità. Per l’esercizio della pesca occorre il consenso del proprietario del fondo.
A partire da questa legislazione, sono stati emanati in Veneto ulteriori decreti in merito all’utilizzazione dei fondi privati a scopo di prelievo venatorio, attraverso la Legge Regionale del Veneto 11 febbraio 1992, n. 157.
L’Art. 10 della legge infatti, che fa riferimento ai piani faunistico-venatori elaborati dalle regioni, stabilisce che tali piani comprendano oasi di protezione, zone di ripopolamento e cattura e infine centri privati di riproduzione della fauna selvatica.
Secondo il comma 7 dell’articolo, è possibile che il proprietario si opponga alla creazione di tali zone, in cui viene precluso l’esercizio dell’attività venatoria. Le regioni possono allora destinare queste aree ad un altro uso nell’ambito della pianificazione faunistico-venatoria.
Inoltre l’Art. 15 della stessa legge specifica che:
(comma 1) “Per l'utilizzazione dei fondi inclusi nel piano faunistico-venatorio regionale ai fini della gestione programmata della caccia, è dovuto ai proprietari o conduttori un contributo da determinarsi a cura della amministrazione regionale in relazione alla estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e alla valorizzazione dell'ambiente”.
Mentre nel comma 3 dello stesso articolo viene specificato come il proprietario che intenda vietare l’esercizio dell’attività venatoria sul fondo di sua appartenenza debba presentare al presidente della Giunta regionale una richiesta di divieto, motivandone le intenzioni.
Il proprietario di un terreno forestale privato non può allora, per legge, vietare il passaggio di estranei sul suo territorio per scopi di attività venatoria. Può però, in accordo con la Regione, far destinare ad altro uso il bosco di sua appartenenza, sempre nell’ambito del piano stabilito dalla Regione. 

3.5 Diritto di alienazione
È il diritto del proprietario di poter vendere o affittare a terzi il proprio terreno forestale e i prodotti che ne derivano (legname e PFNL).
Il proprietario forestale, in quanto tale, detiene il diritto di vendere il bosco di sua appartenenza e i prodotti derivanti da questo, secondo quanto decretato dal Codice Civile in materia di vendita, Art. 1470, ovvero:
“La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.”
Tuttavia, all’articolo seguente viene espresso il divieto di essere compratori ad alcuni enti pubblici; come segue (Art. 1471 Codice Civile):
“Non possono essere compratori nemmeno all’asta pubblica, né direttamente né per interposta persona:
gli amministratori dei beni dello Stato, dei comuni, delle province o degli altri enti pubblici, rispetto ai beni affidati alla loro cura; gli ufficiali pubblici, rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero; coloro che per legge o per atto della pubblica autorità amministrano beni altrui, rispetto ai beni medesimi; i mandatari, rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere, salvo il disposto dell’Art. 1395. Nei primi due casi l’acquisto è nullo; negli altri è annullabile.”
Occorre da qui però distinguere le diverse tipologie di vendita a cui sono soggetti il terreno forestale e i prodotti derivanti da esso, in quanto il primo viene considerato dal Codice come un “bene immobile”, poiché, secondo la nozione di “bene immobile” (che verrà espressa in seguito), esso è un bene naturalmente incorporato al suolo; il legname e gli altri prodotti derivanti dalla foresta, in quanto appunto prodotti, sono considerati come “beni mobili”.
La trattazione verterà quindi su tutto ciò che concerne la vendita del terreno forestale, descrivendo le possibilità e i vincoli a cui è soggetto il proprietario del bosco, successivamente verrà affrontato l’argomento della vendita del legname; infine verrà trattato il diritto del proprietario di rilasciare una licenza per la raccolta dei funghi nel suo territorio.

3.5.1 Vendita del terreno forestale
Come scritto in precedenza, il bosco viene considerato come un “bene immobile”; secondo quanto sancito infatti dall’Art. 812 del Codice Civile Italiano, la nozione di beni immobili è così definita:
“Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. […]”
La sua modalità di vendita allora è soggetta alle normative impartite dal Codice per la vendita dei “beni immobili”, ovvero la possibilità di vendita “a misura” o “a corpo”, definite negli articoli 1537 e 1538. Ai fini della tesi non è necessario illustrare gli articoli di riferimento, ma si può osservare che non vi è alcuna indicazione specifica dalla legge riguardo ad un prezzo minimo o massimo del bene in vendita. Viene data quindi libera espressione ai contraenti nella fissazione del prezzo del terreno forestale.

Esistono tuttavia alcuni vincoli, inerenti alla dichiarazione della vendita, la quale deve avvenire per iscritto, e alla possibilità di alcuni compratori di esercitare il diritto di prelazione per avere la possibilità di acquistare il terreno per primi.
Secondo quanto prescritto dal Codice Civile in merito alle forme di contratto, tra gli atti che devono farsi per iscritto vi è incluso anche il contratto per la compravendita di un “bene immobile”; come scritto infatti all’Art. 1350:
Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità:
1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili; […]”.
Il proprietario e l’acquirente sono quindi obbligati a stipulare il contratto di vendita per iscritto, pena, come scritto dalla legge, l’annullamento della vendita.

Esiste inoltre un ulteriore regolamento che consente ad alcuni individui di divenire i primi compratori del terreno forestale; questa normativa è data dalla Legge nazionale 26 maggio 1965, n, 590 – Disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice, in seguito rivisitata dalla Legge 14 agosto 1971, n. 817 (Disposizioni per il rifinanziamento delle provvidenze per lo sviluppo della proprietà coltivatrice).
L’Art 8 della Legge n. 590 (1965), infatti esprime:
In caso di trasferimento a titolo oneroso o di connessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o compartecipazione, esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante a parità di condizioni, ha il diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno quattro anni (ridotto a due anni dalla Legge n. 817 del 1971) non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria , ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superiori al triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.
La prelazione non è consentita nei casi di permuta, vendita formata, liquidazione coatta, fallimento, espropriazione per pubblica utilità e quando i terreni in base ai piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica […]
Il proprietario deve notificare con lettera raccomandata al coltivatore la proposta di alienazione trasmettendo il preliminare di compravendita in cui devono essere indicati il nome dell’acquirente, il prezzo di vendita e le altre norme pattuite compresa la clausola per l’eventualità della prelazione. Il coltivatore deve esercitare il suo diritto entro il termine di 30 giorni.
Qualora il proprietario non provveda a tale notificazione o il prezzo indicato sia superiore a quello risultante dal contratto di compravendita, l’avente titolo al diritto di prelazione può entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dell’acquirente e da ogni altro successivo avente causa. […]”
Inoltre, l’Art. 7 della Legge n. 817 del 1971 (che modifica in parte l’Art. 8 della legge precedente), mette in chiaro in un elenco definito, gli individui aventi il diritto di prelazione. Come scritto:
“Detto diritto di prelazione, con le modifiche previste nella presente legge, spetta anche:
1) al mezzadro o al colono il cui contratto sia stato stipulato dopo l'entrata in vigore della legge 15 settembre 1964, n. 756;
2) al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti.”
Tali diritti quindi vincolano il proprietario nella scelta dell’acquirente del suo terreno forestale.

Infine la proprietà forestale, come tutta la proprietà terriera privata, può essere soggetta al vincolo di espropriazione da parte dello Stato, qualora venissero verificati i casi espressi nell’Art. 838 del Codice Civile, ovvero:
“Salve le disposizioni delle leggi penali e di polizia, nonché (le norme dell’ordinamento corporativo e) le disposizioni particolari concernenti beni determinati, quando il proprietario abbandona la conservazione, la coltivazione o l’esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa, può farsi luogo all’espropriazione dei beni da parte dell’autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta indennità.”

3.5.2 Vendita del legname
Il legname è da annoverarsi tra i beni mobili del proprietario, in quanto una volta tagliato dall’albero che lo produce esso è perfettamente removibile e utilizzabile in altre zone fuori dal bosco.
Pertanto la sua modalità di vendita è comparabile a quella dei beni mobili, le cui indicazioni principali sono descritte dagli articoli 1510 e 1511 del Codice Civile.
Le forme di vendita del legname possono essere diverse, a scelta del proprietario forestale che intende vendere. In genere si possono individuare due modalità di vendita del legname: “in piedi”, tra cui il proprietario può scegliere se vendere “a misura” o “a corpo”, e “in allestito”. Il prezzo del legname che viene venduto senza che sia stato effettuato alcun taglio dal bosco da cui proviene è chiamato “prezzo di macchiatico”.
La vendita “in piedi” si applica soprattutto per i boschi di proprietà pubblica, con vendita all’asta del lotto boschivo; per effettuare questo tipo di vendita si necessita la collaborazione di un tecnico forestale, il quale, per la vendita “a misura”, stima gli assortimenti ricavabili dal lotto in modo che l’asta si basi sul valore al m3 del prezzo di macchiatico dell’assortimento più pregiato.
La vendita “a corpo” avviene in modalità più semplice, in quanto l’asta si basa sul valore al m3 di tutto il lotto in vendita, senza considerare il pregio dei diversi assortimenti.
La modalità di vendita “in allestito” avviene dopo che il bosco è già stato utilizzato per prelevare il legname. Vengono vendute direttamente le cataste di legna.

Secondo quanto previsto dall’Art.1470 del Codice Civile, il prezzo del legname può venire stabilito dal proprietario, mentre l’acquirente detiene solo la possibilità di trattare a suo favore l’acquisto del bene. In realtà, il mercato del legname è fortemente determinato dalla domanda, che determina prezzi ben definiti per la vendita del legno in tutte le sue forme (come segato, legna da ardere, etc.). Quindi nel governare il contratto il proprietario deve sottostare ai valori minimi e massimi determinati dal mercato.
La procedura per la vendita di legname è infine soggetta ad un vincolo molto importante, sancito dal Regolamento 20 ottobre 2010, n. 995 dell’Unione Europea, ovvero quello di dichiarare tale vendita al fine di prevenirla dal commercio illegale.
Le basi di questo provvedimento sono state, come scritto nelle prime considerazioni del provvedimento stesso, “l’aumento della domanda mondiale di legno e prodotti da esso derivati e le lacune istituzionali e di gestione nel settore forestale in un certo numero di paesi produttori di legname, il disboscamento illegale e il connesso commercio di legname ottenuto illegalmente”; tali problemi sono divenuti nel tempo sempre più preoccupanti.
La legge allora ha impartito l'obbligo ai commercianti del legno di definire misure e procedure per consentire l’accesso alle informazioni concernenti il legno e i prodotti da esso derivati che vengono immessi sul mercato.
Al fine di comprendere gli obblighi più importanti che il proprietario forestale deve osservare per poter vendere il legname di sua appartenenza, è opportuno citare due articoli del suddetto regolamento.
Art. 4 (Obblighi degli operatori):
“1. È proibita la commercializzazione di legno o prodotti da esso derivati di provenienza illegale.
2. Gli operatori esercitano la dovuta diligenza nel commercializzare legno o prodotti da esso derivati. A tal fine utilizzano un insieme di procedure e misure, «sistema di dovuta diligenza», di cui all’articolo 6.”
Art. 6 – parzialmente – (Sistemi di dovuta diligenza):
“1. Il sistema di dovuta diligenza di cui all’articolo 4, paragrafo 2, comprende i seguenti elementi:
a) misure e procedure che consentano l’accesso alle seguenti informazioni concernenti l’approvvigionamento dell’operatore per quanto riguarda il legno o i prodotti da esso derivati immessi sul mercato:
— descrizione, comprendente denominazione commerciale e tipo di prodotto, nonché nome comune della specie di albero e, se del caso, la sua denominazione scientifica completa,
— paese di produzione, e, se del caso:
i) regione subnazionale in cui il legname è stato ottenuto; e
ii) concessione di taglio;
— quantità (espressa in volume, peso o numero di unità),
— nominativo e indirizzo del fornitore dell’operatore,
— nominativo e indirizzo del commerciante cui sono stati forniti il legno e i prodotti da esso derivati,
— documenti o informazioni di altro tipo attestanti la conformità di tale legno e dei prodotti da esso derivati con la legislazione applicabile; […]”

3.5.3 Vendita del permesso di raccolta funghi
Particolare rilevanza economica viene data anche alla vendita del permesso di raccolta funghi su terreni forestale privati; i terreni privati qui considerati sono quelli di elevata superficie, soggetti a proprietà collettive, in quanto in un terreno privato di superficie ridotta, il cui proprietario è un singolo individuo, vale il diritto di esclusione che vieta a chiunque di entrarvi per l’attività di raccolta funghi.
Inoltre, in questa trattazione si possono considerare anche i terreni forestali di proprietà pubblica, come un Comune, di una Comunità montana o di un parco naturale regionale, spesso soggetti alla circostanza per cui chi effettua attività di raccolta funghi può non essere residente nel territorio stesso.
Le normative che regolano la raccolta dei funghi in ambito della Regione del Veneto sono la Legge Regionale 19 agosto 1996, n. 23 – Disciplina della raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati, e la sua attuale revisione, cioè la Legge Regionale 31 gennaio 2012, n. 7, la quale prevede la modifica di alcuni articoli di quella precedente.
L’Art. 1 della suddetta legge stabilisce le modalità per ottenere il titolo di raccolta funghi:
“1. Costituisce titolo per la raccolta dei funghi epigei spontanei freschi la ricevuta di versamento di un contributo stabilito nel suo ammontare nei limiti di cui al comma 1 dell'articolo 16:
a) dalle comunità montane, nell'ambito del territorio di propria competenza nonché nei comuni parzialmente montani;
b) dalle province per la restante parte del territorio regionale, salvo quanto previsto dalle successive lettere c), d) ed e);
c) dagli enti gestori, nei territori appartenenti al demanio regionale;
d) dall'ente gestore del parco, nei territori ricadenti nei parchi naturali regionali, limitatamente alle zone appositamente individuate dallo strumento di pianificazione ambientale; nei territori dei parchi naturali nazionali, insistenti sul territorio regionale, trova applicazione la regolamentazione del rispettivo ente gestore;
e) dal presidente della regola nel territorio regoliero.
2. La ricevuta del versamento, accompagnata da documento di identità in corso di validità, è esibita a richiesta del personale addetto alla vigilanza. […]”.
Mentre all’Art. 16 viene espresso l’importo monetario che il raccoglitore deve versare per poter praticare l’attività:
“1. I raccoglitori di funghi sono tenuti al pagamento di un contributo variabile da euro 5,00 a euro 75,00”.
Da tali emendamenti molti Comuni e Comunità montane hanno definito normative particolari per disciplinare la raccolta dei funghi nelle zone di propria appartenenza; un esempio in merito può essere dato da quanto proclamato dalla Comunità montana Comelico e Sappada, attraverso l’Allegato 1 alla D. G. 13 maggio 2014, n. 13 – Disciplina raccolta funghi, in cui ai turisti non residenti che intendono intraprendere la raccolta dei funghi viene conferito il titolo di raccolta funghi previo il pagamento di un contributo stabilito dalla Comunità stessa; i diversi titoli di cui ogni raccoglitore può disporre, ai quali l’importo da versare è diverso, sono il titolo giornaliero, settimanale, bisettimanale e mensile.



Capitolo 4. Conclusioni

La tesi si era posta l’obiettivo di analizzare i diritti di proprietà utilizzando l’approccio sviluppato dalle teorie di Ostrom e colleghi (1992), nell’ottica di comprenderne il significato e l’impatto nell’ambito nella gestione delle risorse forestali; un altro obiettivo era quello di verificare se, nel contesto della regione Veneto, i profili degli aventi diritto considerati fossero in linea con quelli descritti da Schlager e Ostrom (1992) e se, sempre in riferimento allo stesso quadro concettuale, la distribuzione dei diritti di proprietà ai vari soggetti avvenisse in modo progressivo. Grazie a questa analisi, è stato possibile anche trarre alcune brevi conclusioni generali circa il “grado di liberalizzazione” dei diritti di proprietà sulle risorse forestali in Italia e sul modello di Governance adottato, sia a livello statale che regionale
Il metodo d’indagine utilizzato, ovvero l’analisi di normative italiane e regionali, è stato essenziale per comprendere a fondo se in Veneto (e in Italia) possano effettivamente manifestarsi i profili di utenti e decisori previsti dalla Ostrom. In relazione a ciò, è opportuno far notare che la legislazione italiana e regionale in merito al settore forestale si dimostra essere alquanto vasta e complessa, spesso non sempre perfettamente coordinata nel definire diritti e obblighi degli individui sulla gestione delle risorse; ogni aspetto che è stato considerato dalla tesi, riguardante specifiche attività legate alla foresta – ad esempio attività venatoria, raccolta funghi, viabilità sulle strade silvo-pastorali – è provvisto di una legge propria emanata da uno specifico ente. La reperibilità dei dati quindi è stata abbastanza difficoltosa, e ogni legge è stata analizzata e inquadrata nel contesto del singolo aspetto per cui è stata scritta, mentre non è stato possibile ragionare secondo una versione più integrata della gestione delle risorse forestali, che invece sembra essere l’invito di Ostrom e colleghi.
Un’osservazione generale che emerge dall’analisi è che la situazione italiana sembra essere fortemente caratterizzata da un approccio de jure, ovvero da diritti definiti a livello legale e formale, con norme e regolamenti atti a definire chi effettivamente detiene capacità di controllo sul territorio e quali sono le concrete possibilità nell’utilizzo delle risorse di un soggetto rispetto ad un altro. Sul lato degli aspetti consuetudinari, de facto, invece, non si sono riscontrate molte situazioni, anche se ciò può essere un limite insito nel metodo di indagine della tesi, che si è effettivamente concentrata più sulla normativa che sulle norme e consuetudini locali, dove più lavoro andrebbe probabilmente investito in futuro.
Le teorie di Ostrom hanno schematizzato in modo chiaro e preciso i diversi soggetti aventi diritti di proprietà sulle risorse forestali, attribuendo vincoli e diritti per ognuno di essi e quindi definendoli in una definita scala. In sostanza, ci hanno permesso di capire se realmente al proprietario di una foresta nel Veneto vengano riconosciuti poteri di uso, raccolta, gestione, esclusione ed alienazione sul proprio bosco, o in che misura questi diritti di proprietà appartengano invece ad altri soggetti, in virtù dei vincoli previsti dalle leggi regionali o nazionali.
L’analisi indica chiaramente che il proprietario forestale – inteso come colui che detiene il titolo legale di proprietà del bosco – non detiene affatto tutti i diritti di proprietà in modo incondizionato.
Anche se dal punto di vista legale un terreno forestale di proprietà privata è soggetto ai riconoscimenti giuridici definiti dagli Art. 42 e 44 della Costituzione Italiana, i diritti di cui il proprietario può avvalersi in realtà sono il diritto di accesso e di alienazione, mentre diverse leggi vincolano i diritti di prelievo, gestione ed esclusione: si può ricordare, ad esempio, che per quanto riguarda il diritto di prelievo, il proprietario deve ottemperare a molti limiti previsti dalla legge: per esempio vi sono diverse prescrizioni inerenti al prelievo di legname (quelle riferenti alla Dichiarazione di taglio, al Progetto di taglio e al Progetto speciale di taglio) anche con notevoli appesantimenti burocratici, o ancora esistono vincoli inerenti alla quantità e ai tempi per il prelievo di strame e sostanza organica morta dal proprio bosco. Anche il diritto di gestione è definito secondo obiettivi ispirati soprattutto a garantire la funzione pubblica del bosco: protezione dall’erosione, paesaggio, biodiversità, e la pianificazione viene approvata dell’autorità forestale.
Infine, per poter esercitare il diritto di esclusione ed impedire l’ingresso ad estranei dal proprio fondo, il proprietario deve compiere azioni attive, che comportano costi elevati e tempi lunghi, senza considerare le ulteriori restrizioni imposte dalle norme paesaggistiche. Da queste indicazioni quindi si comprende come, i maggiori diritti di controllo appartengono all’autorità forestale e non al proprietario del bosco. Pertanto, ciò che viene indicato comunemente come “proprietario forestale”, in realtà è, secondo le categorie della Ostrom, un “utente autorizzato” con diritto di alienazione, mentre i profili, o meglio i ruoli di “gestore” e “titolare” sono appannaggio dell’autorità forestale. Dal punto di vista metodologico, questa distribuzione discontinua dei diritti evidenzia come la definizione progressiva di profili prevista dalla Ostrom sia imperfetta ai fini di analizzare la situazione del contesto forestale italiano, dove forse sarebbe più opportuno utilizzare in concetto di tenure niches proposto da Bruce (1999).
Per quanto riguarda quindi il “grado di liberalizzazione” dei diritti di proprietà per la gestione delle risorse forestali, che in sostanza si concretizzano nella possibilità di un proprietario di prendere le decisioni circa la gestione del proprio bosco, si osserva un generale modello di forte regolamentazione a questo proposito, sia a livello nazionale che regionale. Sulla base della breve analisi condotta, appare evidente che il modello di Governance adottato in Italia è un modello passivo, orientato soprattutto a definire cosa “non fare” piuttosto che mosso dalla volontà di incentivare i proprietari a compiere miglioramenti nella gestione delle risorse forestali.
Non si vuole qui esprimere un giudizio solo negativo circa la correttezza di tale modello istituzionale, pensando soprattutto che molta della normativa forestale è mossa da obiettivi di tutela della risorsa forestale e dei valori pubblici di cui è portatrice, risultati che sicuramente non si sarebbero ottenuti in un contesto di spinta liberalizzazione. Va ricordato tuttavia che ottimi risultati possono venire ottenuti anche con modelli e strumenti che affiancano gli strumenti regolatori con altre tipologie di strumenti meno passivi e in grado di stimolare al meglio la partecipazione attiva dei proprietari forestali e dalle altre figure a diverso titolo coinvolte nell’uso e gestione delle risorse forestali.


Bibliografia

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www.parcocollieuganei.com/doc/forestale/Piano_di_Gestione_Norme_Regolamenti
www.piave.veneto.it/web/operatori/acquisire-certificazioni-/-abilitazioni





[1] Altri aspetti relativi all’accesso con mezzi motorizzati verranno trattati nella sezione sul “Diritto di esclusione”.
[2] Chiamati ora Sezione di Difesa idrogeologica e forestale







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